L’ottavo discorso di Giorgio Napolitano da presidente della Repubblica assume toni diversi da tutti gli altri. In primo luogo il capo dello Stato parla direttamente con gli italiani, con uomini e donne colpiti dalla crisi che altro non fa che crescere la sfiducia, anche nelle istituzioni.
Lo fa citando le tante lettere che giungono quotidianamente al Quirinale, lettere di gente comune, che esprime al presidente i propri problemi, in cerca di conforto, di speranza, come la donna che al capo dello Stato ha chiesto “io credo nell’Italia, ma l’Italia crede in me?”. Un Napolitano, dunque, che vuol trasmettere l’impressione di scendere per un momento, anche se virtualmente, dal Colle e sedere al livello dei cittatini, che hanno vissuto, come lo stesso ha ricordato, un anno “tra i più pesanti e inquieti che l’Italia ha vissuto da quando è diventata Repubblica”.
“Il coraggio degli italiani è in questo momento l’ingrediente decisivo per far scattare nel 2014 quella ripresa di cui l’Italia ha così acuto bisogno”, ricorda il presidente, ma il coraggio non basta, per questo la seconda parte dell’intervento, Napolitano, è mirata alla politica, con l’appello, senza più possibilità di deroga, alle riforme. Per far ciò, però, “la politica deve cambiare”. “Si richiedono lungimiranti e continuative scelte di governo, – sottolinea il capo dello Stato – con le quali debbono misurarsi le forze politiche e sociali e le assemblee rappresentative, prima di tutto il Parlamento, oggi più che mai bisognoso di nuove regole per riguadagnare il suo ruolo centrale”.
Un pensiero, Napolitano, lo rivolge anche all’Europa, ribattendo ai tanti sentimenti antieuropeisti che serpeggiano anche all’interno delle forze politiche, ricordando “che l’Europa unita ha significato un sempre più ampio riconoscimento di valori e di diritti che determinano la qualità civile delle nostre società. Valori come quelli, nella pratica spesso calpestati, della tutela dell’ambiente, basti citare il disastro della Terra dei fuochi, del territorio, del paesaggio”.
L’ultima parte, in fine, del discorso, durato venti minuti, è una serrata autodifesa. “Ho assolto il mio mandato – dice – raccogliendo preoccupazioni e sentimenti diffusi tra gli italiani. E sempre mirando a rappresentare e rafforzare l’unità nazionale, servendo la causa del prestigio internazionale dell’Italia, richiamando alla correttezza e all’equilibrio nei rapporti tra le istituzioni e i poteri dello Stato”. Giorgio Napolitano ricorda di aver più volte ribadito la sua volontà di non essere nuovamente nominato capo dello Stato e il sacrificio, personale e istituzionale, che per lui ha comportato la decisione di accettare il secondo mandato.
“Resterò presidente fino a quando la situazione del Paese e delle istituzioni me lo farà ritenere necessario e possibile e fino a quando le forze me lo consentiranno. Fino ad allora, e non un giorno di più, e dunque di certo solo per un tempo non lungo. Non mi lascerò condizionare da campagne calunniose, da ingiurie e minacce”, conclude il presidente, che ribadisce: “Nessuno può credere alla ridicola storia delle pretese di strapotere personale”