“Messina e Reggio Calabria sono state forti quando sono state tra loro integrate mentre sono state deboli quando si sono ignorate: riteniamo sia giunto il momento di impegnarsi direttamente per sostenere la realizzazione dell’area Metropolitana dello Stretto, con l’integrazione delle due città metropolitane, che costituisce la chiave di volta per il futuro sviluppo del nostro territorio, riaffermando così il ruolo che Messina merita di avere nel panorama regionale, nazionale, europeo”. È la proposta, destinata a far discutere, di un gruppo di docenti dell’università di Messina, nell’ambito del dibattito politico sull’istituzione delle città metropolitane.
I docenti chiedono alle istituzioni di convocare a Messina gli stati generali dell’Area metropolitana dello Stretto “così da porre la prima pietra nella costruzione di questo ambizioso ma realizzabile ed esaltante progetto di coesione politica e territoriale. Occorre, pertanto, ripensare il ruolo, fino a questo momento insufficiente, svolto dagli enti pubblici e territoriali nella promozione dello sviluppo. Occorre mostrare, nei fatti, una sensibilità maggiore verso l’interesse generale, un’inversione di tendenza nella gestione delle risorse finanziarie pubbliche”.
L’aggregazione delle due città metropolitane: quella di Messina a 51 Comuni e quella di Reggio Calabria, sarebbe, dunque, “un’aggregazione strategica, necessaria, diremmo quasi naturale. Un’area in grado di generare economie di scala e vantaggi economici che consentiranno al nuovo sistema di competere con altre città metropolitane europee che si affacciano sul Mediterraneo, per l’attrazione di investimenti e per la capacità di innovazione, condizioni indispensabili per intercettare flussi di beni e servizi che transitano dal Mediterraneo verso l’Europa”.
Sarebbe la chiave di volta, secondo i docenti universitari, per Messina che “affronta la più profonda e seria crisi economica dal secondo dopoguerra. Una città che riveste una posizione di assoluta marginalità a livello regionale rispetto a Palermo e a Catania. Marginalità nella capacità della sua classe politica di incidere sulla programmazione e sulla distribuzione delle risorse finanziarie regionali”.