Lo smog fa male al cuore. E’ il risultato cui sono giunti i cardiologi al termine di uno studio triennale, in via di pubblicazione, sul nesso tra inquinamento ambientale e problemi cardiovascolari, attraverso il quale si è riscontrato che quando la concentrazione di Pm10 supera i 50 microgrammi per metro cubo (il limite medio giornaliero fissato per le emissioni) aumentano del 32 per cento gli scompensi acuti, del 39 per cento le aritmie ventricolari, del 14 per cento le sindromi coronariche acute e addirittura del 57 per cento i casi di fibrillazione atriale. I risultati, ottenuti da un team di ricercatori dell’Università di Brescia, guidato da Savina Nodari, sono stati illustrati nel corso della presentazione del 74° congresso nazionale della Società Italiana di Cardiologia (Sic), a Roma dal 14 al 16 dicembre.
“Lo studio – ha spiegato l’esperta – ha individuato una significativa associazione tra i livelli di Pm10 e i ricoveri per eventi cardiovascolari acuti come le sindromi coronariche, l’insufficienza cardiaca, il peggioramento dell’insufficienza cardiaca, la fibrillazione atriale parossistica e le aritmie ventricolari”. E “l’effetto è stato lineare, con un aumento del 3% dei ricoveri per ogni aumento di 10 microgrammi di Pm10. E’ stato messo in evidenza come questo inquinamento non solo causa mortalità o patologie a livello respiratorio e polmonare, ma anche a livello cardiaco e cardiovascolare”.
Malgrado politiche sociali ed ambientali locali per l’incremento della qualità dell’aria, l’effetto negativo degli inquinanti aerei continua a rappresentare un importante problema di salute pubblica, e non solo in Italia. “L’Unione Europea – ha ricordato Nodari – ha stabilito una soglia di sicurezza per i valori di Pm10 di 50 microgrammi/metro cubo, ma il suo effetto negativo sul sistema cardiovascolare può richiedere livelli ancor più bassi per essere azzerato”. Anche per questo “c’è la necessità di una nuova normativa europea e nazionale che ottenga una effettiva riduzione dell’inquinamento”.