Berlusconi non è più un parlamentare. Il Senato lo ha dichiarato decaduto. L’ex premier non è in Aula al momento del voto, per superare il colpo ha voluto circondarsi di fedelissimi che inneggiano ancora alla sua leadership, che lo ricoprono di cori, che lo fanno sentire ancora sulla cresta dell’onda. Ma il colpo è duro lo stesso. Silvio Berlusconi, appena apprende del voto del Senato, vola ad Arcore dalla sua famiglia, da quei figli che non vogliono scendere in campo ma che scrivono note al vetriolo per “celebrare” un giorno di “lutto per la democrazia”.
Ma Berlusconi promette battaglia, non vuole mollare. E la sua speranza ha un nome e un cognome: Matteo Renzi. Se il sindaco di Firenze, infatti, dovesse vincere le primarie del Partito democratico e conquistare la guida del partito, Letta sarebbe imbrigliato, soggiogato. E non è escluso che una vittoria di Renzi, l’8 dicembre, sia la premessa per porre fine a questo Governo delle “larghe intese”, non più così “larghe” dopo la collocazione di Forza Italia all’opposizione.
Il candidato del Pd, infatti, non ha aspettato un momento ed è partito all’attacco del premier Letta: “Con il ritiro di Forza Italia e Berlusconi non ci sono più le larghe intese. Allora questo governo non può continuare ad andare avanti facendo finta che tutto sia rimasto uguale. Bisogna fare finalmente le cose che servono”. E con ironia ha dichiarato: “Il Pd è stato in queste settimane e mesi molto prudente, paziente e responsabile. Siamo ‘good guys’, bravi ragazzi, ma è il momento di chiedere che le cose si facciano, ci faremo sentire”.
Un ritornello proveniente da più parti politiche quello che pesa sulle spalle dell’esecutivo: “Non ci sono più scuse per non fare”. Le riforme possono essere affrontate con maggiore determinazione, senza problemi di “equilibrismi” interni al centrodestra. Una delle prime riforme da affrontare sarà quella della magistratura. Lo ha annunciato il vicepremier Angelino Alfano, manifestando solidarietà al suo ex leader, ma nella consapevolezza che si potrà lavorare senza l’acredine di Berlusconi nei confronti dei giudici.
Occhi puntati quindi sulla attività e sulla reattività del Governo Letta dunque, sui rapporti futuri tra il premier e il prossimo segretario del Pd, che avrà l’enorme responsabilità di potere staccare la spina. È a quel momento che guarda il Cavaliere – titolo che però potrebbe perdere in seguito alla decadenza – ed è per questa ragione che non attacca frontalmente gli scissionisti alfaniani del Nuovo centrodestra.
La platea di via del Plebiscito li chiama “traditori”, Berlusconi no. Da grande stratega qual è, sa che i “cugini” torneranno utili al momento di nuove elezioni, che se tutto dovesse crollare prima che venga varata una nuova legge elettorale, una coalizione di centrodestra non potrebbe fare a meno di loro. È uno stratega, sa di non avere i numeri. Il messaggio per i falchi che scalpitano è chiaro: non è il momento di attaccare, è il momento di raccogliere le idee e rimettersi in forze.
Il secondo fronte è quello che vede come bersaglio principale l’Europa, l’austerità e, di conseguenza, il Governo italiano, a suo dire ancora succube della Germania. Le elezioni europee sono alla porta e saranno il banco di prova per la sua leadership “extraparlamentare”. L’obiettivo è quello di giocare sulle paure degli italiani, sulla crisi economica che ancora investe l’Italia, addossando la colpa all’immobilismo del Governo Letta, alle scelte sbagliate di un esecutivo che prima ha contribuito a formare e che poi ha abbandonato al suo destino.
Vuole i voti dei grillini, che ieri con la senatrice Taverna hanno a tratti superato il limite della retorica sfociando nell’insulto e scatenando il caos nell’Aula di Palazzo Madama. Quei voti Berlusconi li definisce “nostri”.
Saranno, dunque, mesi turbolenti quelli che ci separano dalle elezioni europee: in vent’anni di politica Berlusconi ha sempre avuto la capacità di resistere e ha riservato sorprese. Anche i suoi avversari politici ne sono consapevoli: Berlusconi è fuori dal Parlamento, ma non è ancora fuori dalla politica.