“Lo shopping è la migliore cura contro le pene d’amore”. Sempre che non ne sia la causa: la Corte di Cassazione ha infatti introdotto la “patologia dell’uso incontrollato di denaro per effettuare ossessivamente acquisto di beni mobili” come comportamento che può mettere in crisi un matrimonio, quasi sullo stesso piano di un tradimento.
Proprio per questa motivazione la Prima sezione civile, con la sentenza numero 25843, ha negato a una cinquantottenne di Pisa il diritto di ricevere l’assegno mensile da 2000 euro che l’ex marito le avrebbe dovuto dare in seguito alla separazione della coppia nel 2007, e già allora il Tribunale di Pisa aveva attribuito alla donna la colpa del fallimento del matrimonio proprio a causa del suo shopping compulsivo.
Nonostante il successivo ricorso in Cassazione da parte della signora che sosteneva di non poter essere accusata della fine del matrimonio perché, secondo una consulenza tecnica, affetta da un disturbo della personalità che la spingeva conseguentemente a spendere sempre più soldi, le è comunque stata affidata la colpa in quanto “lucida e orientata nei parametri spazio temporali nei confronti delle persone e delle cose” e capace quindi di intendere e di volere.
La Cassazione ha quindi deciso per la piena colpevolezza della cinquantottenne in quanto “i comportamenti riscontrati, pacificamente sussistenti (furti di denaro ai familiari ed ai terzi, acquisti particolarmente frequenti e fuori misura di beni mobili) configurano violazione dei doveri matrimoniali”.