Il ferimento o l’assassinio di Yasser Arafat non sarebbero stati opera di Israele. Lo ha ribadito il ministro dell’Energia israeliano, Silvan Shalom, che all’epcoca della morte di Arafat guidava il dicastero degli Esteri. “non abbiamo mai preso la decisione di colpirlo fisicamente – ha detto Shalom -. La mia opinione è che stiamo assistendo a una tempesta in un bicchier d’acqua. Ma anche se si trattasse di avvelenamento, Israele non c’entra nulla. Forse qualcuno all’interno aveva pensato a questo o aveva qualche interesse a farlo”.
Gli scienziati svizzeri che hanno esaminato i resti dell’ex capo dell’Olp non sono giunti a una conclusione certa sulle cause della morte di Arafat ma i risultati degli esami, hanno spiegato, “confortano razionalmente l’ipotesi di un avvelenamento” con il rilevamento di una presenza anormale di polonio 210 e piombo. “Non possiamo affermare che il polonio sia stato la causa della sua morte, e neanche escluderlo”, ha proseguito Francois Bochud, direttore dell’Istituto di radiofisica di Losanna nel corso di una conferenza stampa, sottolineando che i resti indicano il coinvolgimento di una terza parte. “Se mi chiedete se si possa escludere il polonio come causa della morte, rispondo di no. E se mi chiedete se possiamo essere certi che questo ne sia stata la causa, rispondo anche qui di no”. Una quantità di polonio come quella rinvenuta non può essere ingerita “accidentalmente”, hanno assicurato gli scienziati, ed è “assolutamente” necessario l’intervento di un terzo affinché ciò accada. I casi di avvelenamento con questa sostanza sono scarsi. In ogni caso, cinque microgrammi sono “letali” e tra il momento dell’ingerimento e la morte può passare un mese.