“Io non cerco vendetta, voglio sapere perché è morto il mio Paolo. Non importa quanto ci vorrà, fosse anche un’eternità. Io, di certo, non vivrò abbastanza per conoscere la verità. Non importa. E’ importante, invece, che i cittadini italiani sappiano la verità. Tutti dovrebbero pretenderla a gran voce”. Sapeva di avere un terribile male, ma non ha mai rinunciato a guardare al domani. Agnese Piraino Borsellino, morta il 5 maggio scorso, ha voluto lasciare un lungo racconto della sua vita, che ripercorre i momenti di tenerezza accanto al marito Paolo, ucciso nella strage di via d’Amelio, ma anche i momenti del dolore.
Il racconto di Agnese, affidato al giornalista Salvo Palazzolo, è soprattutto un appello per la verità. “Innanzitutto, bisognerebbe aprire gli archivi di Stato. E guardarci dentro. Perché, purtroppo, tante verità sono ancora dentro i palazzi delle istituzioni”, dice Agnese nel suo racconto diventato il libro “Ti racconterò tutte le storie che potrò”, edito da Feltrinelli, in uscita oggi. “La verità bisognerebbe chiederla a tanti uomini delle istituzioni, che sanno, ma non parlano – prosegue la vedova Borsellino -: a loro non voglio rivolgere un appello. Sarebbe tempo perso. Perché loro sono degli irriducibili. Questi uomini si devono mettere solo alla berlina, si devono sbeffeggiare, come avrebbe fatto oggi Paolo Borsellino”.
Gli ultimi pensieri di Agnese sono stati soprattutto per l’agenda rossa del marito, trafugata in via d’Amelio: “Chissà, – dice – forse un uomo delle istituzioni ha in mano l’agenda rossa di Paolo: sono sicura che esiste ancora. Non è andata dispersa nell’inferno di via d’Amelio, ma era nella borsa di mio marito, borsa che è stata recuperata integra, con diverse altre cose dentro. Sono sicura che qualcuno la conserva ancora l’agenda rossa, per acquisire potere e soldi”. Agnese Borsellino lancia un ultimo, forte appello: “Quell’uomo che ha trafugato l’agenda rossa sappia che io non gli darò tregua. Nessun italiano deve dargli tregua”. La vedova del giudice ricorda una telefonata che gli fece l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga: “Mi disse: – racconta – ‘Via d’Amelio è stata da colpo di Stato’. E mise giù il telefono. Un mese dopo, Cossiga morì. Cosa volesse dirmi esattamente con quelle parole non lo so. Però, la voce di Cossiga non la dimenticherò mai. Evidentemente, voleva togliersi un peso”. “Dunque, qualcuno sa – dice la vedova nel libro – Qualcuno ha sempre saputo, e non parla. È un silenzio diventato assordante da quando i magistrati di Caltanissetta e di Palermo hanno scoperto ciò che Paolo aveva capito: in quella terribile estate del 1992 c’era un dialogo fra la mafia e lo Stato”.