“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. L’art. 29 della Costituzione sembrerebbe non lasciare adito a dubbi: l’elemento costitutivo della famiglia, intesa quale centro di imputazione di diritti e di doveri, è il matrimonio.
Quid iuris se la stessa unione, i medesimi vincoli affettivi, si ripropongono in quelle comunioni di vita caratterizzate dalla stabilità e, al contempo, dall’assenza del vincolo del matrimonio?
Si parla, in questi casi, di convivenze more uxorio e la diffusione di tali legami di fatto è diventata tale da richiedere in maniera sempre più frequente non solo l’intervento dei Tribunali, chiamati a precisare nelle singole fattispecie i margini di tutela riconosciuti alle coppie, ma anche, seppur in via discontinua, quello del legislatore.
Occorre sin da subito precisare che, allo stato attuale, nel nostro ordinamento manca un intervento normativo organico ed unitario che disciplini il fenomeno delle coppie di fatto, eccetto per quello che riguarda i figli nati al di fuori del matrimonio (interessati da una recentissima riforma). La normativa in materia è ancora frammentaria, anche se indubbiamente orientata verso una sempre maggiore apertura nei confronti di tali formazioni sociali.
A titolo esemplificativo si ricorda difatti che, in materia di adozioni, si ritiene che sia soddisfatto il requisito della stabilità della coppia di adottanti, quando queste abbiano convissuto in modo stabile e continuativo, prima del matrimonio, per un periodo di tre anni; che la legge ammette l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita anche ai conviventi more uxorio; che le norme sull’affido condiviso vengono applicate anche ai figli di genitori non coniugati. Ed ancora, si ricorda che in materia di misure di tutela dell’incapace, la persona stabilmente convivente può essere scelta come amministratore di sostegno, così come può promuovere i procedimenti di interdizione e di inabilitazione.
A livello giurisprudenziale si evidenzia che è ormai pacificamente riconosciuto il diritto del convivente del soggetto deceduto a causa di un terzo, ad ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.
Il vincolo solidaristico che si viene a creare tra persone che hanno deciso di non contrarre matrimonio, pur ponendo di porre in essere una convivenza che riproduca gli aspetti più salienti della vita matrimoniale, è stato anche preso in considerazione dalla Corte Costituzionale. Il Giudice delle leggi ha difatti sancito la illegittimità costituzionale della legge in materia di equo canone nella parte in cui, in caso di morte del conduttore, non includeva nel novero dei successibili nel contratto di locazione anche il convivente more uxorio.
D’altro canto le differenze tra le coppie sposate e le coppie di fatto rimangono rilevanti ove si osservi, ad esempio, che la convivenza non determina il sorgere di diritti successori reciproci all’interno della coppia, ferma restando la possibilità per chiunque di disporre mediante testamento dei propri beni, nei limiti della cd quota disponibile.
Pertanto, in caso di morte di uno dei conviventi, il superstite non rientrerà tra gli eredi legittimi, ma potrà essere nominato erede solo qualora previsto da una disposizione testamentaria in suo favore, e comunque fatti sempre salvi i diritti degli eventuali legittimari ( figli , moglie e, in assenza dei figli, ascendenti del de cuius).
In ogni caso rimane escluso il diritto per il superstite a percepire il Tfr e la pensione di reversibilità del convivente premorto. Allo stesso modo, alla coppie non unite dal vincolo del matrimonio è preclusa la possibilità di procedere congiuntamente all’adozione di un minore.
In via generale, non si ritiene estensibile in via analogica, al di fuori della famiglia legalmente intesa, la disposizione di cui all’art. 143 c.c., essendo escluso che ricorrano l’obbligo di fedeltà, di assistenza morale e materiale e di collaborazione nelle unioni non cementate dal matrimonio.
Sotto questo aspetto occorre però richiamare quella giurisprudenza più recente che ha attribuito rilevanza ai rapporti tra i membri di una comunità familiare formata al di fuori del matrimonio, riconducendo i diritti degli stessi membri sotto il paradigma dell’art. 2 della Costituzione, nella parte in cui riconosce i diritti inviolabili di ogni uomo, oltre che come singolo, anche nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.
Tale interpretazione del resto appare in linea con la giurisprudenza comunitaria formatasi attorno all’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. La CEDU ha difatti precisato che la nozione di famiglia ivi indicata non comprende necessariamente solo le relazioni basate sul matrimonio, ma può essere estesa anche ai legami familiari di fatto.
In questo quadro così rappresentato, occorre capire che ruolo rivestano determinati interventi che si vanno diffondendo a livello locale, quale l’istituzione da parte di alcuni Comuni dei cd registri delle unioni civili, la cui portata innovativa deve necessariamente delimitata.
Il registro comunale delle unioni civili viene istituito dal Consiglio Comunale su proposta della Giunta, nell’ambito della autonomia del singolo Comune ed ha una rilevanza esclusivamente amministrativa
L’accesso a tali registri è consentito, dietro presentazione di un’apposita domanda, da una coppia maggiorenne convivente, sia essa eterosessuale che omosessuale, non legata da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, tutela, curatela, iscritta nel medesimo stato di famiglia e residente nel territorio del Comune presso il quale è istituito il registro. L’avvenuta registrazione consente il rilascio di un certificato che attesti l’unione.
Le conseguenze pratiche collegate all’iscrizione attengono dunque in generale alla possibilità, riconosciuta alle unioni di fatto, di accedere a benefici ed agevolazioni esistenti in materia di assistenza socio sanitaria, di edilizia popolare, sussidi anticrisi, fino ad ora appannaggio dei soli nuclei familiari legalmente intesi.
Le coppie così registrate, pertanto, una volta entrata a regime la nuova regolamentazione dettata a livello locale, potranno essere inserite nelle graduatorie stilate al fine dell’inserimento dei figli negli asili pubblici, dell’assegnazione degli alloggi popolari, dell’accesso alle mense scolastiche, all’integrazione del canone di affitto etc.
I Comuni che hanno aderito a questa iniziativa (il primo è stato il Comune di Empoli nel 1993 e, ad oggi, sono oltre 140) si impegnano ad utilizzare per tutte le unioni, cementate dal vincolo del matrimonio, o solo iscritte nel Registro, i medesimi parametri per l’attribuzione dei punteggi e pertanto per la concessione dei benefici. Sempre nei limiti, ovviamente, imposti dalla legislazione statale.
A questi ambiti va pertanto necessariamente ricondotta l’operatività del Registro delle Unioni civili, con la doverosa precisazione che, in ogni caso, l’ iscrizione al registro non può sortire alcun effetto in materia di anagrafe e di stato civile.
Avv. Nicoletta Neglia