Simona Riso viveva in via Urbisaglia nella Capitale da circa un anno, quando è stata ritrovata nel cortile di casa, con il torace sfondato e il bacino fratturato, il corpo ricoperto di ecchimosi. La ventottenne di origine calabrese condivideva un appartamento con due studenti Erasmus e il cugino, nella palazzina da cui Simona è caduta. E mentre l’attenzione di tutti si concentra sul mistero della caduta, forse passa in secondo piano quello che è successo nelle due ore che hanno separato la ventottenne dalla morte.
Simona è stata ritrovata alle 7 dal mattino da una vicina ed è arrivata al Pronto soccorso di dell’Ospedale San Giovanni alle 7,28. Simona avrebbe dettp all’infermiera del triage di essere stata violentata: scatta subito il protocollo per le vittime di violenza sessuale. Quello che viene tralasciato però è il terribile trauma toracico che dopo due ore dall’arrivo della ragazza in ospedale ne ha causato la morte. Se fosse stato attivato il protocollo per i traumi gravi forse Simona avrebbe avuto qualche possibilità.
La morte della ragazza è ancora avvolta nel mistero, ma c’è qualcosa che fa rabbia, tra i tantissimi che hanno voluta ricordarla al funerale e tra chi segue la vicenda: era possibile praticare i due protocolli insieme, facendo una tac che avrebbe permesso di vedere le costole che comprimevano i polmoni di Simona e forse di salvarle la vita?