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Bambini “intrappolati” in divorzi transnazionali | Quando la cronaca segnala un’emergenza sociale

Sono sempre più numerosi i casi di bambini che restano “intrappolati” nei divorzi dei propri genitori con nazionalità differente. Storie tristi di violenza psicologica di cui spesso gli adulti sottovalutano il peso sullo sviluppo dei più piccoli. Per via della possibilità di studiare e lavorare in altri paesi dell’Unione Europea, per via della cosiddetta fuga di cervelli, per via dei consistenti flussi migratori che giungono alle nostre coste, sono sempre più diffusi i casi di coppie formate da persone provenienti da paesi diversi, persone che, se decidono di divorziare, hanno spesso l’intenzione di tornare nei loro paesi d’origine, creando notevoli difficoltà per l’affidamento dei figli. Difficoltà che poi spesso, a causa della disperazione del genitore che si vede strappato il proprio figlio, porta a casi di cronaca nera come quello di ieri, in cui sono state arrestate sette persone a Palermo – ma la rete criminale si estende dalla Scandinavia al Maghreb – con l’accusa di tratta internazionale di minori.

Abbiamo chiesto a Gabriele Giambrone, fondatore dello studio legale internazionale Giambrone Law, di aiutarci a capire un po’ meglio i contorni legali dei divorzi più complicati. “La prima, la più importante, cosa da tenere in considerazione in cause del genere è l’esigenza di benessere del minore. Sia la normativa italiana che quella europea mettono questo aspetto davanti a qualsiasi altra esigenza. Poi, per l’assegnazione ad uno dei genitori dell’affidamento, si segue il criterio della identificazione del luogo in cui il minore abbia trascorso e costruito la maggior parte della propria vita affettiva e sociale. Per i più piccoli invece, vale sempre il criterio del legame con la mamma”.

Casi del genere sono frequenti tra le pratiche di cui si occupa il suo ufficio?

“I divorzi transnazionali sono ormai diffusissimi. I casi di separazioni in cui uno dei due genitori decide di tornare al proprio paese di origine, magari portando con sè i figli, sono all’ordine del giorno. E il problema è che non possono non generare conflitti, in quanto ancora nè a livello europeo, nè – figuriamoci – a livello internazionale, esiste una normativa concordata per la risoluzione di questi casi”.

Quali sono le difficoltà più complicate da affrontare?

“Innanzitutto la decisione della Corte davanti a cui adire l’eventuale causa. In Inghilterra diffusa una dottrina, indicata con il nome di forum shopping, con cui si indica il fenomeno molto diffuso di scegliere, tra le corti competenti, quella in cui, per storia e d’abitudine, si pensa di poter ottenere maggiori vantaggi. Le porto un esempio famoso per spiegarle: nel divorzio tra Paul McCartney, inglese, e la moglie, americana, la donna scelse tra le due corti competenti, quella degli Stati Uniti è quella dell’Inghilterra, la seconda perché notoriamente più propensa a fare rispettare i diritti delle donne, delle madri, nei confronti di uomini ricchi e facoltosi”.

Ma se ci sono più corti competenti, c’è anche il rischio di sentenze inconciliabili?

“Purtroppo sì. È infatti possibile adire procedimenti diversi davanti a tribunali diversi. Il mio ufficio per esempio sta seguendo il caso di una donna italiana, sposata con un cittadino inglese, con una figlia di 4 anni, che dopo 10 anni di matrimonio, in seguito ad una vacanza in Spagna, ha deciso di restare a vivere lì e di non tornare più Inghilterra. L’uomo ha immediatamente fatto causa presso la corte inglese per sottrazione illegale di minore, mentre la donna ha risposto con una causa presso il tribunale spagnolo per l’affidamento della figlia. I due processi procedono di pari passo E si arriverà quasi certamente ad uno stallo qualora le due sentenze fossero inconciliabili. Addirittura si sta anche pensando di interessare un tribunale italiano per un ulteriore causa di separazione dei coniugi”.

Ma tutto questo non genera un caos insopportabile intorno alla bambina?

“Certamente, ma finché una normativa univoca europea non venga a districare i nodi della giurisdizione di questi casi, non ci sono alternative. Dico sempre che hanno creato l’Europa, ma hanno dimenticato di creare gli europei. Non soltanto non parliamo la stessa lingua, ma abbiamo principi e valori completamente differenti: l’etica di uno scandinavo – per tornare ai nostri fatti di cronaca – è totalmente diversa da quella di un italiano. Tant’è vero che, come apprendo da notizie di stampa (Gabriele Giambrone lavora a Londra, n.d.r.), pare che in Svezia fosse legale affidarsi ad un’agenzia per chiedere il recupero del minore conteso. E lì i genitori sono addirittura di due continenti diversi”.

Quali sono, secondo lei, i criteri guida da seguire nella costruzione, evidentemente necessaria, di una normativa europea condivisa sui divorzi di persone con nazionalità differente?

“Il primo e fondamentale principio è, e rimane, la tutela del bambino, che deve essere sempre principale rispetto agli interessi egoistici dei genitori. In parole povere, bisogna sempre valutare qual è il contesto sociale e affettivo in cui il minore è cresciuto e valutare il trasferimento come ultima ratio. In secondo luogo, bisogna stabilire criteri univoci per l’identificazione della corte competente per giudicare sul caso, perché non è possibile seguire soltanto l’indicazione della maggiore convenienza per uno dei genitori. Infine, bisognerebbe stabilire delle norme che permettano con maggiore facilità di perseguire quei genitori che non adempiono ai propri obblighi di mantenimento così da poter aggredire il patrimonio del genitore che volontariamente abbandona la famiglia. Sono moltissimi i casi infatti di genitori con nazionalità differente in cui uno dei due coniugi, a un certo punto, decide di tornare nel proprio paese di origine (solitamente è il padre) dimenticando qualsiasi responsabilità nei confronti della famiglia che ha abbandonato”.

Maria Teresa Camarda

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  • Articolo interessante, in effetti che manchi una normativa omogenea in Europa per tutelare i minori e' un vuoto da colmare immediatamente

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Maria Teresa Camarda
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