“Cari genitori, prendete il vostro dolore e trasformatelo in un patrimonio prezioso per quanti come voi potrebbero ritrovarsi nella vostra situazione. Non lasciate che la vostra sofferenza rimanga soltanto vostra, ma condividetela e aiutate altri a non soffrire le stesse pene”. Con questo appello commosso la presidente nazionale dell’Agedo (Associazione genitori di omosessuali), Rita De Santis, si è rivolta ai genitori del ragazzo di 21 anni che due giorni fa si è buttato dal balcone della propria abitazione perchè non riusciva a vivere serenamente la sua omosessualità.
Il ragazzo ha lasciato una lettera in cui criticava la società che aveva intorno e incitava gli omofobi a fare i conti con la propria coscienza. I genitori, sconvolti, hanno dichiarato di non avere mai capito che il proprio figlio fosse gay. È possibile che non si siano mai accorti di niente?
“Quando mio figlio mi ha confessato che era omosessuale nemmeno io avevo avuto sentore di nulla. Certo, a volte si nota un disagio nei ragazzi, ma quando sono adolescenti o comunque molto giovani, con le difficoltà che vivono nel mondo di oggi, pensi sempre che possa trattarsi di un’angoscia per il futuro o di una semplice pena d’amore. I genitori del ragazzo che si è ucciso quindi non devono sentirsi in colpa. Le colpe se esistono sono della società intera”.
In che senso? Non stiamo anzi facendo dei passi avanti nel rispetto delle diversità?
“Nella cultura di massa sembra ancora non essere prevista la possibilità che il proprio figlio sia gay, si pensa sempre che debba toccare a qualcun altro. E quando tuo figlio o tua figlia ti confessa di essere omosessuale, la prima sensazione che hai è quella di cascare in un mondo parallelo, sporco, ti chiedi immediatamente come farai a dirlo agli altri, agli amici, ai parenti. Stereotipi che sono duri a morire purtroppo”.
Chi deve fare di più per far sentire maggiormente accettati gli omosessuali?
“La scuola e l’università. A 21 anni, l’età del ragazzo che si è ucciso, la famiglia non è poi così importante, il vero centro di gravità è l’ambiente scolastico o universitario. È plausibile che il disagio il giovane lo vivesse lì. Quando organizziamo incontri all’università, mi rendo conto che non c’è molta apertura mentale, nemmeno nei ragazzi. Se scuola e università facessero di più, probabilmente anche le famiglie sarebbero più preparate ad accogliere le confessioni dei propri figli”.