Il premier, Enrico Letta, ne ha già riferito nel suo discorso alle Camere: durante il Consiglio Europeo, in corso in questi giorni a Bruxelles, i grandi d’Europa si troveranno, tra le altre cose, a doversi confrontare su un tema particolarmente delicato e importante, quello della ricerca. Sul tavolo dei primi ministri degli Stati membri, la proposta-manifesto che fa riferimento alla creazione di uno Spazio europeo, una Maastricht della ricerca, il cui obiettivo, a detta degli autori del documento, è quello di trasformare la ricerca europea in una risorsa aumentandone la competitività grazie a un sistema di coordinamento sovranazionale.
“Oggi – spiega Luigi Berlinguer, parlamentare europeo ed ex ministro dell’Istruzione – la ricerca è appannaggio dei singoli Stati così un ricercatore bulgaro non può sfruttare un bando italiano, così come uno spagnolo non può spostare la sua ricerca in un laboratorio più avanzato del suo in Francia o in Germania portando con sé i finanziamenti ricevuti nel suo Paese. Una frammentazione, questa, che ci sta costando cara. Né la Bulgaria, né l’Italia, né tantomeno la Germania potranno mai essere in grado di competere da sole contro colossi come Stati Uniti, Cina o Giappone. Una Maastricht della ricerca – continua – darebbe al ricercatore il diritto di poter partecipare ai bandi per fini di ricerca, favorendo una mobilità che ci consenta di creare una vera e propria comunità scientifica europea”.
“Realizzare uno Spazio europeo della ricerca – aggiunge Amalia Sartori, presidente della commissione per l’Industria, la ricerca e l’energia del Parlamento europeo – significherebbe, finalmente, garantire un coordinamento vero e fattivo delle strategie, delle politiche e delle attività di ricerca, sviluppo e innovazione. Il Manifesto che abbiamo lanciato la settimana scorsa vuole essere una proposta per accelerare gli sforzi che gli Stati membri devono fare per “europeizzare” quanto fanno a livello nazionale e renderlo coerente con gli obiettivi e le linee d’azione dell’UE in quanto tale”.
Eliminare, dunque, gli egoismi nazionali e iniziare a comportarsi da Europa per rilanciare l’innovazione. “Quello dei nazionalismi è un problema che ricorre in molti settori – dice Berlinguer – abbiamo la moneta unica ma ci manca una politica economica comune, continuiamo ad avere 28 ambasciate in ogni Paese, così come manteniamo 28 eserciti, con i costi che questo comporta”. E all’eurodeputato del gruppo Socialisti e democratici fa eco ancora una volta la Sartori, aggiungendo che “negli USA esiste una sola National Science Foundation, in UE ne abbiamo 28. Se vogliamo andare verso gli Stati Uniti d’Europa dobbiamo pensare di armonizzare il più possibile gli impegni che si portano avanti a livello nazionale”.
L’europeizzazione della ricerca, tuttavia, non implicherebbe conseguenze per i vari Cnr, che continuerebbero a svolgere il proprio compito, regolati da un unico ordinamento, e non comporterebbe costi aggiuntivi, anzi, secondo Amalia Sartori “porterà a una razionalizzazione delle spese e delle attività. E sicuramente darà respiro alla ricerca europea, che deve recuperare posizioni importanti rispetto ai suoi grandi competitors, USA e BRICS”. La palla adesso passa al Consiglio Europeo. Starà ai primi ministri prendere una decisione in merito allo Spazio europeo della ricerca, peraltro già precedentemente inserito nel trattato di Lisbona, una decisione che non si prospetta facile, ma che potrebbe dare il la a una vera e propria rivoluzione europea nel mondo della ricerca e dell’innovazione.