Sono 42 le persone arrestate stamattina a Palermo nell’ambito di una maxi-operazione antidroga volta a smantellare una delle principali piazze di spaccio della città: quella del quartiere Guadagna. All’operazione “Araba Fenice” hanno preso parte 180 carabinieri e due elicotteri, che hanno eseguito diverse decine di ordinanze di custodia cautelare. I provvedimenti, emessi dal gip su richiesta dalla locale Procura distrettuale antimafia, ipotizzano il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. Nel corso dell’indagine i carabinieri hanno sequestrato sei chili di hashish, otto chili e 505 piante di marijuana, cocaina e eroina per migliaia di euro.
Un quartiere strategico, quello della Guadagna, che “provvede non solo alle esigenze della citta’ ma anche della periferia. Palermo si conferma oggi una importante piazza di spaccio e di traffico per tutta la Sicilia – ha spiegato il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, durante una conferenza stampa alla Procura della Repubblica – le indagini si sono svolte tra il 2009 e il 2010 e si sono avvalse dei mezzi previsti dalla legge come il ritardato arresto e sequestro, che si sono rivelati ancora una vota vincenti nella lotta al traffico di droga”. “Un’operazione denominata ‘Araba Fenice’ perché il traffico di stupefacenti è un’attività che può essere contenuta ma mai eliminata definitivamente – ha continuato Messineo – che chiude una serie di arresti in flagrante”.
Questi i nomi delle persone arrestate. Dario Abbene, 28 anni, Francesco Paolo Agnetta, 38 anni, Matteo Agozzino, 35 anni, Carmelo Francesco Arizzi, 37 anni, Valerio Billitteri, 23 anni, Vincenzo Billitteri, 25 anni, Salvatore Bisiccè, 23 anni, Nicola Cammarata, 24 anni, Franco Capizzi, 41 anni, Maurizio Capizzi, 36 anni, Salvatore Capizzi, 26 anni, Emanuele Salvatore Di Caccamo, 31 anni, Gaspare Di Caccamo, 22anni, Alessandro Filippone, 25 anni, Gregorio Filippone, 35 anni, Giovan Battista Finazzo, 24 anni, Giuseppe Ganci, 25 anni, Paolo Giappone, 30 anni, Vincenzo Giappone, 39 anni, Giuseppe Labruzzo, 31 anni, Antonino Lucera, 36 anni, Giuseppe Lucido, 33 anni, Giovanni Maiorana, 31 anni, Baldassare Mannino, 23 anni, Gaetano Marchese, 43 anni, Salvatore Marsalone, 36 anni, Pietro Mazara, 25 anni, Salvatore Musso, 34 anni, Paolo Palazzo, 21 anni, Raimondo Palazzo, 32 anni, Vito Palazzo, 27 anni, Giovanni Palazzolo, 36 anni, Antonio Persico, 21 anni, Simone Pipitò, 23 anni, Francesco Pizzo, 27 anni, Giuseppe Prester, 59 anni, Marco Antonio Ragolia, 30 anni, Federico Taormina, 22 anni, Francesco Tinnirello, 27 anni, Giuseppe Tinnirello, 25 anni, Alessandro Zarcone, 25 anni.
Nessuno degli arrestati è un “uomo d’onore”. “Non emerge in modo evidente anche se c’e’ qualche soggetto che offre delle parentele precedenti – ha continuato Messineo – ma la cosa non sorprende, perché’ le indagini da cui ha preso le mosse l’inchiesta risalgono ad anni fa. La nuova attenzione di Cosa nostra puo’ non essere presente”. Le due organizzazioni avevano una struttura gerarchica ed erano sostanzialmente gestite da due famiglie. Mai in lotta tra loro, i clan collaboravano utilizzando le vedette comuni per gestire i traffici. In 15 presidiavano tutto il giorno nel quartiere della Guadagna di Palermo per avvertire le organizzazioni che avevano il monopolio del traffico della droga dell’eventuale presenza delle forze dell’ordine: vere e proprie vedette che scorazzavano tra le vie del quartiere diventato punto di riferimento per tutti quelli che volevano acquistare dalla marijuana, all’hashish o alla cocaina. Uno degli arrestati, Carmelo Arizzi, intercettato si lamentava con il capo dell’organizzazione del comportamento del figlio di tre anni e mezzo: “Ripete tutto – diceva all’amico -: è andato a dire ‘mio padre vende il fumo’ ed è venuto il bidello della scuola: ‘vedi che tuo figlio mi disse così e io che dovevo fare? gli ho levato i giocattoli, la playstation”.
I due clan, azzerati dai carabinieri di Palermo, erano organizzati di tutto punto con sentinelle e pusher che utilizzavano, per prendere gli ordinativi al telefono, cellulari riservati e un linguaggio cifrato con le dosi che diventavano “caffè da prendere al bar”, scarpe, borse o appuntamenti con ragazze. Per rendere più difficile il lavoro degli investigatori chi riceveva i soldi dagli acquirenti era diverso da chi consegnava le dosi e nessuno aveva la disponibilità di quantitativi di stupefacenti tali da raggiungere la dose che poteva costargli l’arresto per spaccio Delle due bande quella più potente era capeggiata da Antonino Lucera, 37 anni, detto Mino. A bordo della sua auto decideva l’acquisto della droga, l’importazione fuori dall’Isola e commentava l’abilità dei suoi pusher lamentandosi anche della presenza di “troppi sbirri”. Il padre Luigi e lo zio Santo, nel ’90, vennero uccisi in un casolare nel palermitano. Dalle intercettazioni è emerso che, Mino sia convinto che dietro l’omicidio ci sia il tradimento di una parte della sua famiglia.