Domenica 20 ottobre, per la prima volta, gli stranieri residenti nella città di Palermo saranno chiamati alle urne. Niente allargamento del diritto di voto, semplicemente una piccola espressione di un grande concetto, quello della democrazia, che consentirà loro di eleggere i rappresentanti che andranno a formare la Consulta delle culture, un organo ufficiale del Comune, che avrà il compito di formulare proposte e dialogare direttamente e senza filtri con l’amministrazione.
Dopo aver parlato in un precedente articolo di come i vari candidati, sono in tutto 44, stessero prendendo sul serio la campagna elettorale, con manifesti, comizi, iniziative, abbiamo voluto compiere un vero e proprio viaggio all’interno del mondo delle comunità di stranieri che popolano la città di Palermo attraverso un reportage che ci ha portati a invadere per un giorno la routine di due dei candidati alla Consulta delle culture. Sumi e Vasile. Lei, giunta in Italia 15 anni fa dal Bangladesh, lui 7 anni fa dalla Romania. Due etnie diverse, con problemi diversi. Due soggetti, nello specifico, diversissimi per età, religione, appartenenza, ma con una cosa in comune: la speranza.
Vasile ha aperto un’associazione culturale per dare un punto di riferimento ai suoi concittadini romeni. Ogni tanto nel parlare incespica un po’, “ma è meglio dell’altra volta con il sindaco Orlando” ci dice mostrando la foto dell’evento. “Ma c’erano tante persone, eravamo all’aperto, adesso è andata meglio”. Il suo più grande rammarico è la scarsa partecipazione della comunità romena. “Noi facciamo i salti mortali per tenere aperta questa associazione, ma non sono tanti i nostri connazionali che partecipano e ci danno una mano. Hanno paura. Hanno paura perché più di una volta sono stati truffati, presi in giro. Molte persone si sono approfittate della loro buona fede”. Ci racconta di una Palermo a noi sconosciuta, quella vista con gli occhi di un individuo che lascia tutto, famiglia, affetti, beni, per tentare l’avventura in un luogo in cui non conosce nemmeno la lingua. “All’inizio è difficilissimo. E poi quello della lingua è un ostacolo grandissimo”.
Chi non ha, invece, problemi di partecipazione è Sumi. Lei è poco più che una ragazza, ma misura le parole e dimostra una forza d’animo che molti uomini possono solo sognarsi. Il velo in testa indica la fede musulmana. E’ la responsabile di un patronato e si definisce un’immigrata di seconda generazione. Così come per Vasile, quando si toccano certi argomenti le si illuminano gli occhi. L’abbiamo conosciuta durante un comizio di fronte al Teatro Massimo. C’era un capannello di gente, tutti del Bangladesh, ma non era lei a tenere banco, bensì amici e conoscenti che volevano spendere parole di lode per il suo operato. “Erano tanti (ride ndr)”. Anche con Sumi abbiamo parlato di integrazione, o meglio, di vera integrazione e di donne. “Da circa cinque anni – dice – mi occupo soprattutto di donne. Le accompagno ovunque, in questura, in prefettura, dal medico, in ospedale. E’ difficilissimo arrivare in un posto in cui non ci sono i propri cari, gli amici, non si conosce bene la lingua, specie per le donne”.
Nel programma dei due candidati, così diversi, ma così uguali, molte idee coincidono. Entrambi, ad esempio vorrebbero creare delle scuole o delle istituzioni, dove ai loro piccoli connazionali, emigrati di terza generazione, nati e cresciuti in Italia, venga data la possibilità di non troncare le proprie radici col paese d’origine, di non perdere tradizioni e culture, a partire dalla lingua. Entrambi vorrebbero una maggiore concentrazione di figure come quella del mediatore interculturale. Entrambi sognano, di poter dare una mano alla propria gente, indipendentemente dalla loro elezione, anche solo per sopravvivere a una burocrazia che è già sfiancante per qualsiasi italiano, figuriamoci per chi giunge da un altro paese. Già, perché negli occhi di Sumi, di Vasile e di molti altri come loro i sogni sono tanti e in questo momento sono accesi dalla possibilità di poter far parte di qualcosa, che in questo caso prende il nome di Consulta delle culture, che gli consenta veramente di comunicare con le istituzioni per farle partecipe dei problemi e delle richieste che più interessano le loro comunità.
Al di là della curiosa campagna elettorale e dei volti dei candidati, infatti, quest’organo consultivo che sta per muovere i suoi primi passi in città, rappresenta un punto di inizio, un segnale che le cose potrebbero cambiare per molti cittadini stranieri. Palla al Comune adesso. Starà all’amministrazione dimostrare che non si è trattato solo di una campagna pubblicitaria, di uno spot elettorale per raccogliere consensi laddove la politica non ha ancora espanso a pieno le proprie radici. Se Palermo sarà capitale della cultura, lo sarà anche grazie alle sue tante culture, che, storicamente, l’hanno fatta grande nei secoli.