Settant’anni esatti sono passati da quella mattina del 16 ottobre 1943. Il giorno in cui la città di Roma vide il rastrellamento di oltre milleduecento cittadini ebrei, abitanti del ghetto della Capitale ad opera della Gestapo. Otto ore e mezza, dalle 5:30 del mattino fino alle 14, che cambiarono il destino di mille di loro, brutalmente deportati ad Auschwitz. Dal campo di sterminio polacco fecero ritorno solo in 16. Tra di essi una sola donna. Solo in duecento tra i facenti parte del primo gruppo di prigionieri vennero rilasciati in quanto di sangue misto o stranieri.
Gli abitanti del ghetto furono presi e trascinati via a forza dalle loro case. I disabili o coloro con gravi problemi fisici furono presi di peso e trattati con estrema crudeltà. Il rastrellamento venne condotto ugualmente nonostante le autorità tedesche, con il capo della Gestapo Herbert Kappler in testa, avessero deciso inizialmente per un’espropriazione dell’oro della comunità ebraica in cambio dell’incolumità generale. Ma ancora una volta la banalità del male ebbe la meglio. Come prevedibile il patto venne disatteso e l’opera di sterminio venne messa in atto.
Nessuno tra i civili inermi si oppose. Con grande dignità ognuna di quelle mille anime accettò il destino crudele che venne per loro scritto all’interno di un tetro stanzone di comando d’oltralpe. In un estremo atto di superiorità morale e umana spiccano le storie di Costanza Calò, sfuggita al rastrellamento e offertasi comunque ai suoi aguzzini perché la sua sorte non poteva essere diversa da quella del marito e dei figli. O di quella donna cattolica, risparmiata in quanto tale, ma che non avrebbe mai potuto accettare di lasciare quel piccolo fanciullo ebreo affidato alle sue attenzioni.
Il destino di questi uomini, donne e bambini colpevoli solo di essere diventati il bersaglio della “politica” di Adolf Hitler, venne a compiersi due giorni dopo, quando con 18 carri bestiame tutti i prigionieri vennero condotti ad Auschwitz. Quelli giudicati inabili al lavoro vennero uccisi immediatamente nelle camere a gas. Ai lavori forzati vennero condotti quelli considerati adatti. Da Auschwitz nessuno tornò indietro. I sedici che riuscirono a salvarsi provenivano da altri campi nei quali furono successivamente smistati.
Settant’anni dopo, la città di Roma e tutto il Paese continuano a tenere viva la memoria di quanto accaduto e ricordano le vittime di quelle giornate d’autunno. Per un’incredibile coincidenza proprio oggi potrebbero tenersi i funerali del capitano delle SS Erich Priebke, partecipe all’eccidio delle Fosse Ardeatine. Ma alla banalità del male è meglio non dare risonanza. Più giusto perpetuare il ricordo delle vittime innocenti per tenerlo vivo anche nelle nuove generazioni.