Intellettuale indimenticabile e scrittore indimenticato, oggi Italo Calvino avrebbe compiuto 90 anni. Sognatore incallito, fortemente convinto che per allenare la mente sia indispensabile imparare poesie a memoria, soprattutto quelle più difficili, consapevole che ci sarebbe stata sempre la possibilità di immaginare (e scrivere) di un futuro stupefacente.
Calvino ci ha lasciato probabilmente uno degli incipit più interessanti e divertenti della letteratura italiana:
“Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla, di là c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: «No, non voglio vedere la televisione!» Alza la voce, se no non ti sentono: «Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!» Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso, dillo più forte, grida: «Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino!» O se non vuoi non dirlo; speriamo che ti lascino in pace. Prendi la posizione più comoda: seduto, sdraiato, raggomitolato, coricato. Coricato sulla schiena, su un fianco, sulla pancia. In poltrona, sul divano, sulla sedia a dondolo, sulla sedia a sdraio, sul pouf. Sull’amaca, se hai un’amaca. Sul letto, naturalmente, o dentro il letto. Puoi anche metterti a testa in giù, in posizione yoga. Col libro capovolto, si capisce”.
Scritto nel 1979, dopo sei anni di silenzio, “Se una notte d’inverno un viaggiatore” è una sfida, un rompicapo, un metaromanzo dalla struttura raffinata e complessa dove si intrecciano molte storie, molti linguaggi. Dieci incipit immaginari che non nascondono trucchi e trappole per il lettore. Se fosse un sudoku sarebbe nella categoria “difficile” mettiamola così, ma è un viaggio che non smette mai di essere scoperta.
Calvino è stato uno dei narratori, intellettuali e scrittori più significativi del Novecento. Oggi i suoi libri vengono già considerati dei classici della letteratura. E allora, nel ricordarlo, ripassiamo insieme a lui, cosa sono “i classici”.
I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: “Sto rileggendo…” e mai “Sto leggendo…”
Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati; ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserba la fortuna di leggerli per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli.
I classici sono libri che esercitano un’influenza particolare sia quando s’impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale.
D’un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima.
D’un classico ogni prima lettura è in realtà una rilettura.
Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.
I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato (o più semplicemente nel linguaggio o nel costume).
Un classico è un’opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso.
I classici sono libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti.
Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dell’universo, al pari degli antichi talismani.
Il “tuo” classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui.
Un classico è un libro che viene prima di altri classici; ma chi ha letto prima gli altri e poi legge quello, riconosce subito il suo posto nella genealogia.
È classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno.
È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona.
Come dargli torto. Calvino ha scritto che i classici vanno letti per una semplice ragione: perché leggere i classici è meglio che non leggere i classici. “E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran: “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”.
E a me non obiettate scuse del tipo “non leggo i classici perché sono noiosi”, “non ho tempo”, “sono troppo lunghi”. Io vi dico provate a leggerne uno, magari “Il barone rampante” o “Il visconte dimezzato” in onore di Calvino. Vedrete che non tornerete più indietro.