Quando le Cordepazze si presentarono al premio De Andrè salirono sul palco da ragazzotti semisconosciuti quali erano e stupirono la platea con la loro musica e due canzoni, Spacciatore e Parolaccia, che per sound e per la finezza e l’ironia dei testi sarebbero di sicuro piaciuti all’indimenticato re del cantautori.
Sono passati diversi anni da quel momento. In mezzo c’è un premio Tenco all’Ariston di Sanremo, la partecipazione, vittoriosa, a Musicultura e un album, I re quieti, che ha riscosso l’approvazione di pubblico e addetti ai lavori, meritandosi persino le cinque stelle dall’inserto XL di Repubblica. Adesso, la formazione composta da Alfonso Moscato, Michele Segretario, Francesco Incaldela e Vincenzo Lo Franco ci riprova con un nuovo album dal titolo eloquente: L’arte della fuga.
Un album, per il vero, la cui gestazione è stata molto lunga. Molti dei brani presenti della tracklist, infatti, fanno parte già da qualche anno della scaletta dei live della band, ma non per questo hanno perso di smalto o di attualità. Tutt’altro. Il gruppo, che come base ha scelto Palermo, si presenta sugli scaffali dei negozi di dischi e nelle playlist di Itunes con un sound del tutto rinnovato rispetto agli esordi. Meno spazio alle sfumature corpose dell’acustico e più spazio a sonorità elettroniche costruite su testi sempre di alto livello che racchiudono tutta la voglia di cambiamento, di rivoluzione – questo il titolo del primo singolo estratto -, di affermazione, perché no, tipico dei giovani di talento che a furia di aspettare il proprio momento, in quanto, appunto, giovani, si scoprono d’un tratto già trentenni.
Top track, a nostro parere, Quello che vorrei, grandissima prova di scrittura e di orecchiabilità e Credi a me, una (non)ballad il cui testo parla d’amore in maniera talmente non banale e non sdolcinata da essere a tratti struggente. Si24 ha intervistato per i suoi lettori il gruppo al gran completo.