Racconti di migranti. La storia di Sacco e Vanzetti

di Redazione

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Racconti di migranti. La storia di Sacco e Vanzetti

| sabato 05 Ottobre 2013 - 15:40

Sacco e Vanzetti

La vicenda dei due italiani condannati ingiustamente da una corte americana vittima del pregiudizio nei confronti dei due italiani, colpevoli solamente di avere delle idee di uguaglianza sociale. Nel corso degli anni la loro vicenda è assurta a simbolo di discriminazione

 

PALERMO, 5 OTTOBRE 2013 – Storie di emigranti. Vicende di uomini e donne che fuggono dal proprio Paese natale in cerca di una vita migliore. L’Italia è piena di racconti di questo genere. Siamo stati anche noi un popolo di migranti, perfettamente assimilabili a tutti coloro che arrivano a Lampedusa con ogni tipo di imbarcazione. Ne abbiamo quasi perso la memoria, ma la nostra Lampedusa negli Stati Uniti d’America era Ellis Island. Punto d’ingresso per tutti gli immigrati che arrivavano in terra americana, l’ex arsenale militare ha schedato centinaia di migliaia di nostri connazionali.

 

Tra i nostri connazionali schedati, spuntano anche i nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, giunti negli Stati Uniti a distanza di un anno. Il primo nel 1909, il secondo nel 1908. In un ideale ponte tra meridione e settentrione, Sacco da Torremaggiore, provincia di Foggia, e Vanzetti da Cuneo. Vicende diverse, ma unite da un destino comune.

 

Nicola Sacco era figlio di un produttore agricolo. Bartolomeo Vanzetti veniva da una famiglia più agiata. Il padre era proprietario terriero e padrone di una caffetteria. Il destino comune di un lavoro malpagato e, in molti casi, anche sfruttato, era quello che li attendeva nella terra promessa. In un parallelo con gli sbarchi dei clandestini africani sulle nostre coste, anche gli italiani di allora arrivavano con qualsiasi mezzo, pronti ad accettare i lavori più umili, vittime in moltissimi casi del razzismo imperante verso l’italico pezzente, brutto, sporco e cattivo. Il primo divenne un calzolaio, il secondo cambiò tanti lavori prima di fermarsi a fare il pescivendolo.

 

Sacco e Vanzetti avevano qualcosa in più nel loro bagaglio. Qualcosa d’intangibile, che nessuna polizia di frontiera poteva toglier loro: la forza delle idee. Entrambi di stampo anarchico, diventarono presto attivisti in movimenti locali. In prima fila nelle manifestazioni per un adeguamento di salario e condizioni di lavoro, ben presto entrarono nel mirino di un governo americano tra i più repressivi.

 

Erano gli anni della “Paura rossa”. Il comunismo si era fatto strada in molti stati europei. In Russia aveva portato alla caduta del regno ultracentenario degli zar. Non si poteva sottovalutare un fenomeno di questo tipo. Ben presto entrarono a far parte di una lista di sovversivi compilata dal governo federale che li portò velocemente a una condanna a morte pilotata. I due furono arrestati nel 1920 con l’accusa di possesso di armi e materiale sovversivo. Accusa grave per l’epoca, ma non così tanto da portare a conclusioni definitive.

 

Nel giro di poche settimane ecco la seconda, e ben più grave, imputazione. Sacco e Vanzetti furono accusati di essere gli esecutori materiali di una rapina con duplice omicidio in un calzaturificio della periferia di Boston, Massachusetts. In quell’occasione persero la vita un contabile e una guardia giurata. Con nessuna prova a loro carico e tantissimo disprezzo per l’italiano sovversivo, Sacco e Vanzetti finirono rapidamente dietro le sbarre. Il loro attivismo politico era fortemente inviso alle autorità americane, nel pieno della repressione di voci contrarie alla comune morale. In più erano degli italiani, dei “wops” venuti a portare i loro crimini nel “Nuovo Mondo” E così la condanna a morte arrivò velocemente. A nulla servirono i processi successivi e la mobilitazione di intellettuali e gente comune. Gli Stati Uniti avevano ormai deciso e la mannaia del boia era pronta a calare sulle loro teste sotto forma di sedia elettrica.

 

“Nick” Sacco e “Bart” Vanzetti vennero giustiziati il 23 agosto del 1927 ma la loro vicenda negli anni crebbe fino a diventare sinonimo di ingiustizia perpetrata a scopo razzista e discriminatorio. Oggi in pochi, tra gli italiani del nuovo millennio, ricordano questa assurda vicenda. Eppure basterebbe approfondirla un minimo per ritrovare in quegli occhi tristi, e al contempo carichi di speranza, che ogni giorno arrivano a Lampedusa, le stesse espressioni di quei due italiani coraggiosi.

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