Stavano uscendo per una battuta di pesca e hanno salvato 47 persone dal naufragio. La storia di otto amici, di otto angeli che hanno salvato dall’inferno 47 anime.
LAMPEDUSA (AG), 3 OTTOBRE – Descrive una scena apocalittica, un mare con centinaia di braccia che si muovevano, con teste che affondavano, che riemergevano, che sputavano, che gridavano. E loro, otto amici, sulla barca nella cala Tabaccara, davanti a quell’inferno improvviso alle prime luci dell’alba, verso le 5,45, che sono passati dall’allegria di una promettente battuta di pesca alle lacrime di un dramma enorme, inaspettato.
È ancora sconvolta Grazia Migliosini, 50 anni, la donna che nelle prime immagini dei soccorsi, rimbalzate in tutto il mondo, si vedeva piangere sul molo di Lampedusa. Catanese, ma lampedusana di adozione, sull’isola gestisce un negozio di costumi e oggetti per il mare, racconta il film dell’orrore che ha vissuto in prima persona.
La barca di Vito Fiorino, un vecchio peschereccio di 15 metri riammodernato per ospitare vacanzieri, è stata la prima a trovarsi nello specchio di mare del naufragio in cui sono morti oltre cento migranti e sono stati gli otto ospiti a salvare 47 persone.
“Alle 5.30 ci siamo svegliati – dice Grazia – avevamo dormito in barca. Il mio compagno diceva di sentire delle grida. Lo abbiamo preso in giro: pensavamo fossero i gabbiani. Abbiamo messo in moto e siamo usciti dalla cala e subito ci siamo trovati di fronte alla tragedia. In acqua c’erano almeno 100 persone. Ci siamo avvicinati mentre qualcuno dava l’allarme alla Capitaneria”.
Gli otto sulla barca hanno cominciato ad afferrare le braccia dei migranti in acqua issandoli a bordo. “Parlavano in inglese – continua Grazia – dicevano salvate i bambini, ci sono tanti bambini. Siamo rimasti lì tre ore. Per fortuna siamo tutti esperti di mare. Un mio amico, Marcello Nizza, si è tuffato sette o otto volte per afferrare qualcuno e portarlo sotto la barca affinché potessimo tirarlo su. Abbiamo tentato di dare a quelle persone dei vestiti asciutti, alcuni di loro si vergognavano, ci stringevano le mani, ci dicevano grazie, grazie. Ho pianto, ho pianto tanto, forse il senso d’impotenza, di vedere tutte quelle persone e capire che non potevamo salvarle tutte”.
Poco prima che gli uomini e le donne sulla barca di Fiorino salvassero i migranti dal peschereccio Angela C., a meno di un paio di miglia, Francesco Colapinto, 24 anni, che rientrava da una battuta di pesca, col binocolo ha visto le fiamme che divampavano dal barcone di somali ed eritrei e ha detto agli zii Domenico, 59 anni, e Raffaele, 65 anni, di puntare la prua verso quella zona. “Abbiamo subito avvertito la Capitaneria di porto – dice Domenico Colapinto – poi siamo arrivati dove c’erano i naufraghi e abbiamo cominciato a tirare in barca le persone. Ne abbiamo salvate 18 e abbiamo tirato su, purtroppo, anche due morti”. “C’era una gran chiazza di kerosene – ricorda – le braccia ci scivolavano dalle mani. Abbiamo visto tanti bambini e ragazzi, purtroppo non sappiamo se si sono salvati”.