Il Bartali “partigiano” raccontato in un libro

di Redazione

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Il Bartali “partigiano” raccontato in un libro

| lunedì 23 Settembre 2013 - 13:33

bartali

ROMA, 23 SETTEMBRE 2013 – Un libro che racconta Gino Bartali, non solo dal punto di vista sportivo ma soprattutto da quello umano e politico nel senso più nobile del termine. Bartali si rese protagonista, durante il fascismo, di una intensa attività clandestina che portò al salvataggio di tantissimi ebrei dalla deportazione. La biografia è stata curata da due fratelli canadesi, Aili e Andres McConnon.

 

 

Il libro, dal titolo “La strada del coraggio-Gino Bartali, eroe silenzioso”, è uscito a maggio nella traduzione italiana a cura delle edizioni ’66thand2nd’. I fratelli McConnon ripercorrono le tappe fondamentali della vita e della carriera del campione toscano, dall’infanzia nel sobborgo fiorentino di Ponte a Ema all’esordio come ciclista nella metà degli anni Trenta, dai primi attriti con il regime fascista alla ripresa dell’attività agonistica nel dopoguerra, fino alla morte avvenuta a Firenze nel maggio del 2000. I due autori hanno compiuto approfondite ricerche negli archivi italiani e francesi, intervistando sopravvissuti, testimoni e familiari del campione.

 

“Io ho sempre saputo. Con papà siamo stati tanto assieme e lui mi raccontava tutto raccomandandosi però di non dirlo a nessuno, perché, ripeteva, ‘il bene si fa ma non si dice’, e ‘sfruttare le disgrazie degli altri per farsi belli e’ da vigliacchi”. Andrea Bartali, figlio dell’indimenticato “Ginettaccio” nominato oggi “Giusto tra le nazioni” per aver salvato centinaia di ebrei dallo sterminio, raggiunto telefonicamente dall’Agi non fa nulla per nascondere la sua felicita’. “E’ un giorno bellissimo – conferma – ed è ancora piu’ bello che per l’annuncio sia stato scelto l’inizio dei mondiali di ciclismo in Toscana”.

 

“Sorpreso? No, si lavorava da anni a questa cosa (già nel 2005 il presidente Ciampi conferì al ciclista la medaglia d’oro al merito civile, ndr) – ammette Andrea – ma Yad Vashem, il memoriale ufficiale israeliano delle vittime dell’Olocausto, preferisce lavorare con calma, fuori dalle luci dei riflettori, e mi era stato chiesto di non farne parola con nessuno: io gli ho dato retta, per quanto ho potuto, ma poi ho dovuto spiegargli che quello di Bartali non e’ un nome come gli altri, che non potevo impedire ai giornalisti di parlarne..”.

 

“Quando le leggi razziali hanno cominciato ad essere applicate con rigore in tutta Europa – racconta ancora il figlio di Gino – in Italia arrivarono 14-15mila ebrei che trovarono rifugio per lo più nei conventi, nei collegi, nelle comunita’ religiose. Dopo l’8 settembre la situazione comincio’ a farsi ancora piu’ pesante ed allora il cardinale Dalla Costa, che conosceva papa’ da anni e che aveva celebrato il suo matrimonio e il mio battesimo, lo chiamo’ spiegandogli che per salvare tanti dalla deportazione bisognava portare dei documenti da una citta’ all’altra. ‘Solo tu puoi riuscirci – gli spiego’ – sei uno sportivo famoso ed amato, nessuno puo’ immaginare che lavori in clandestinita’. Una cosa pero’ devo dirtela – aggiunse – se ti scoprono, ti fucilano'”.

 

La risposta del grande campione non si fece attendere: “si prese qualche giorno per riflettere – continua Andrea – non tanto per se’, ma perche’ io ero ancora piccolo e lui non voleva lasciare mamma e me soli , ma poi l’istinto prevalse e rispose ‘sì, lo faccio, lo sport è vita e solidarietà, altrimenti a che serve?’. Fu così che papà prese a fare la spola tra Firenze e Genova, nascondendo le carte nei tubi del telaio della bici e facendo tappa alla Certosa di Lucca dove i certosini prendevano i documenti e li smistavano. A un certo punto, per evitare i controlli sempre più stringenti sui porti, Della Costa pensò di appoggiarsi ad Assisi e papà allora cominciò a portare i documenti da Firenze ad Assisi, 160 km all’andata e 160 al ritorno in una sola giornata. Già che c’era, i frati gli chiesero di dare un occhio anche ai posti di blocco sulle strade abruzzesi e cominciò a vedere anche un religioso di Pescasseroli, conosciuto come “il frate confessore dei contrabbandieri”, che poi erano quelli che vendevano alla borsa nera”. “Aveva paura? Non credo – conclude Andrea – e se anche l’aveva ne ha fatte lo stesso di tutti i colori: ha rischiato la pelle, si e’ buttato nei fossi per sfuggire ai controlli, e’ persino finito nelle acque nere: tornò a casa e mamma, che naturalmente non sapeva niente, lo fece spogliare da capo a piedi per lavarlo. Quante vite ha salvato? Ufficialmente almeno 800 ebrei, ma nel conto vanno messi pure un bel po’ di inglesi e di partigiani”.

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