PALERMO 13 SETTEMBRE 2013 – I proclami su tutti i giornali e i titoli nei telegiornali sembravano aver chiuso definitivamente le porte alla tanto discussa Imposta municipale unica, meglio conosciuta come Imu.
In realtà, nonostante i proclami politici e le iniezioni di ottimismo, per molti italiani l’Imu resta e a volte, può arrivare anche a far male, molto. È questa l’opinione, ad esempio, di diversi esponenti della piccola e media impresa, che vedono i capannoni delle loro aziende soggetti all’imposta, anche se queste non fatturano abbastanza o smettono addirittura di produrre.
“Ogni anno – dice Antonio, imprenditore del Palermitano attivo nel settore del legno – la mia azienda deve sborsare circa 12 mila euro di Imu, questo mi impedisce di fare investimenti e mi mette in difficoltà con il personale, che puntualmente pago senza cedere alla tentazione del lavoro in nero. Ma non è tutto. Se io dovessi decidere di chiudere la mia azienda, infatti, dovrei continuare ugualmente a pagare l’Imu per i capannoni. In molti qui in zona, infatti, dopo aver chiuso hanno scelto di abbattere parte delle proprie costruzioni per evitare un salasso”.
A calcare la mano sull’argomento è anche il presidente di Confartigianato Palermo, Nunzio Reina: “È stato un errore colossale – dice – tenere in considerazione per le esenzioni solo l’agricoltura. Gli agricoltori, infatti, possono scaricare l’Imu, mentre gli artigiani no e per loro è come pagare due volte la tassa. Si tratta di un’ambiguità – continua Reina – che colpisce chi più può contribuire a sollevare il Pil della nazione e che è già vessato da leggi poco comprensibili come quella relativa alla tracciabilità dei rifiuti”.
Non si placano, dunque, le polemiche sulla mancata abolizione dell’Imu relativa agli immobili produttivi d’impresa. Non si placa anche per l’impossibilità di avere detrazioni o vantaggi fiscali come l’agevolazione del 50 per cento a lungo ventilata nelle sale dei palazzi governativi, ma non è tutto. Secondo la legge di stabilità 2013, neanche i Comuni possono concedere sgravi o agevolazioni fiscari, in virtù della divisione tra le quote comunali e quote erariali per le costruzioni, come i capannoni, considerati di fascia D, equiparati dunque agli hotel.