WASHINGTON, 11 SETTEMBRE 2013 – Barack Obama parla in televisione alla nazione di Siria e guerra lampo proprio alla vigilia del dodicesimo anniversario dell’11 settembre 2001. Una coincidenza che ha un impatto psicologico sulla nazione incontrollabile. Ancora aperte le ferite dell’attacco alle Torri gemelle, ancora lontani da casa migliaia di soldati impiegati in Afghanistan e in Iraq, in conflitti che dovevano durare il tempo di una passeggiata.
Forse è stata proprio questa circostanza ad aver condizionato il giudizio del Congresso in merito al discorso del presidente: la persuasione non sembra essere andata a buon fine. Obama, nel suo discorso di quindici minuti in diretta televisiva, ha chiesto al Congresso di rinviare il voto sull’uso della forza contro la Siria per verificare “i segnali incoraggianti” che arrivano dal fronte diplomatico, in particolare dalla imprevedibile collaborazione della Russia. Ma Obama ha voluto rimarcare che gli Stati Uniti devono essere pronti a “reagire” all’attacco chimico perpetrato dal regime e ha sottolineato che è “troppo presto” per dire se il piano russo per il disarmo di Damasco “avrà successo”, anche se – si deve riconoscere – ha “il potenziale per annullare la minaccia delle armi chimiche senza l’uso della forza”.
“Succedono cose terribili nel mondo – ha detto il premio Nobel per la Pace, Obama – ma va al di là delle nostre possibilità intervenire ovunque. Ma ciò che rende eccezionale l’America è che sappiamo correre dei rischi per proteggere i più deboli. Quando si deve fermare l’uccisione di bambini con i gas gli Stati Uniti hanno il dovere di agire. Se non reagiamo, Assad continuerà ad usare le armi chimiche. E forse altri lo seguiranno”. “Nell’interesse della sicurezza nazionale degli Stati Uniti bisogna rispondere, servirà da deterrente”, conclude il leader della Casa Bianca.
Obama ha cercato poi di ingraziarsi i membri del Congresso, a cui ha chiesto, con un voto, di esprimersi sull’opportunità di un intervento in Siria. “Oltre che comandante delle forze armate Usa sono anche il presidente della più antica Democrazia costituzionale del mondo: ecco perché ritengo che la cosa migliore è spostare questa discussione in Congresso”, ha affermato il presidente americano. Obama ha ribadito che un eventuale intervento militare sarà limitato e non sarà come in Iraq o in Afghanistan. “Non schiererò truppe americane in Siria – ha promesso – il nostro Paese è stanco delle guerre. Sarà un intervento non a tempo indeterminato e mirato per scoraggiare uso di armi chimiche. L’apparato militare americano colpisce forte. Colpiremo forte, dobbiamo scoraggiare Assad dall’uso di armi chimiche”.
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Ma il discorso con cui Barack Obama ha chiesto un rinvio del voto sull’intervento militare in Siria, mantenendo la minaccia di usare la forza contro il regime di Bashar al-Assad, non sembra aver allargato i consensi. Né nell’opinione pubblica (un sondaggio di una tv americana parla del 55% di persone che sostanzialmente non hanno cambiato idea sulla possibilità di una guerra in Siria) né nel Congresso Usa. Nelle prime reazioni, i democratici hanno applaudito al tono e ai contenuti del presidente, mentre alcuni repubblicani hanno criticato la sua politica estera sulla Siria ed espresso scetticismo sul piano russo per mettere sotto controllo le armi chimiche di Damasco.
La leader della minoranza democratica alla Camera, Nancy Pelosi, e il suo numero due, Xavier Becerra, hanno elogiato il presidente americano sottolineando che che la “minaccia credibile” di un’azione bellica dimostra la ferma leadership della Casa Bianca e la sua disponibilità ad esplorare tutte le alternative prima di ricorrere alla forza. Duro, invece, il presidente del Partito repubblicano, Reince Priebus, che ha accusato Obama di aver “svergognato” gli Usa nell’arena internazionale con una politica estera “senza timone”.