PALERMO, 7 SETTEMBRE 2013 – Il Papa nei giorni scorsi ha lanciato un appello per la pace in Siria e ha chiesto a tutti, indipendentemente dal proprio credo, di aderire digiunando per un giorno. Ma qual è il significato di questa scelta?
In generale, il digiuno viene raccomandato come misura espiatoria in tempi di calamità e di lutto in quasi tutte le religioni, così anche nella Bibbia: alla morte del Re Saul, Davide e i suoi uomini fecero lutto, piansero e digiunarono fino alla sera su Saul e su Gionata suo figlio, sul popolo del Signore e sulla casa d’Israele, perché erano caduti di spada (2 Sam 1,12; cf. 2 Sam 3,35; Gdc 20,26); in occasione dei suoi funerali digiunarono per sette giorni (cf. 1 Sam 31, 13; 1Cr 10,12).
Nel senso stretto del termine, digiunare significa astenersi dall’assunzione di cibo e di bevande. Tradizionalmente questa rinuncia è la strada da percorrere per ritrovare l’equilibrio del corpo, alla ricerca di una purificazione interiore.
Il digiuno è una virtù molto importante, come sottolinea anche Allah nel Corano: “O voi che credete, è obbligato il digiuno su di voi, come era stato imposto su quelli prima di voi, affinché diventiate persone pie” (Al-Baqara: 183).
Digiunare non si limita al cibo e alle bevande, l’accezione si amplia ai beni di consumo, di cui la nostra vita si “ciba” quotidianamente. Nella nostra civiltà, infatti, non è un segreto che la forma abbia preso fin troppo campo sulla sostanza. E ogni tanto occorrerebbe fermarsi e concentrarsi su quello che vale realmente.
Il Papa chiede che rispettiamo un giorno di digiuno per liberarci dal “materiale” e aprire la porta alla spiritualità, ai valori superiori, alla nostra coscienza. Banalmente, al nostro cuore. Ascoltarci e ascoltare gli altri. Perché per “esserci”, come ci hanno insegnato Socrate e Heidegger, dobbiamo riconoscerci negli occhi dell’altro. Dobbiamo aprirci al diverso per riconoscerci dissimili nella nostra unicità. Solo così potremo comprendere veramente le ragioni che hanno indotto Papa Francesco a scongiurare una nuova guerra.
Perché l’altro è un patrimonio da salvaguardare. Prima di tutto per noi stessi.