PALERMO, 5 SETTEMBRE 2013 – I ministri del Governo italiano digiunano per la pace seguendo Papa Francesco, la responsabile della Farnesina, Emma Bonino, è fra le più intransigenti nemiche dell’intervento armato in Siria.
Ma il nostro Paese, sotto la bandiera arcobaleno, nasconde qualcosa. Milioni di euro di commesse di materiale bellico per il regime di Bashar al Assad, il primato di primo fornitore europeo di armamenti al regime siriano e anche enormi quantità di armi, definite come “non destinate ad uso militare” solo per cavilli burocratici, che continuano a giungere in tutti i Paesi confinanti da quando è scattato l’embargo contro la Siria.
A rivelarlo le documentate inchieste di Wired e Unimondo.org che in particolare citano i dati dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere (Opal) di Brescia, ma non solo quelli. Si parte dalla più grossa commessa militare vinta dall’Italia negli anni Novanta: 500 sistemi di puntamento Turms per i carri armati di fabbricazione russa T72 per un valore di 229 milioni di dollari.
Il sofisticato sistema prodotto dall’allora Officine Galileo, adesso Selex ES del gruppo Finmeccanica ha permesso di migliorare la mira dei carri utilizzati dai militari di Assad per sparare sui civili in rivolta. Un “contributo tecnologico” non indifferente ai 93 mila morti in due anni citati dalle cifre ufficiali dell’Alto Commissario dell’Onu.
Questa fornitura è la parte più grossa dei 131 milioni di euro che pongono l’Italia alle spalle di Russia, Iran, Bielorussia e Corea del Nord fra i fornitori del regime siriano. Non solo la holding pubblica Finmeccanica fra i protagonisti ma anche ditte private come Beretta. Ma l’Italia, malgrado una legge impedisca di esportare armi a nazioni che violano i diritti umani, ha fornito la sua “tecnologia” anche alla Libia di Gheddafi ma anche agli insorti, alla Turchia, al Kazakistan ed all’Egitto.
Ma l’osservatorio Opal di Brescia, incrociando rapporti dell’Unione Europea e dati Istat ha registrato una strana coincidenza: un forte aumento di spedizioni di armi verso i Paesi confinanti della Siria a partire dal 2011, quando scatta l’embargo. Da meno di 1,7 milioni di euro di armi esportate da Brescia verso la Turchia nel 2009 ad oltre 36,5 miliardi di euro nel 2012. Secondo Unimondo si tratta di almeno 100-150mila armi.
“Tra le tipologie di armi riportate dell’Istat – scrive Unimondo – figurano non solo le cosiddette armi sportive o per la difesa personale ma anche tutta un’ampia gamma di pistole semiautomatiche, fucili e carabine per le forze di polizia, fucili a pompa per corpi speciali, contractors e forze di sicurezza: tutto quanto cioè – come recita la legge 110 del 1975 che ne regolamenta l’esportazione – non è destinato al moderno armamento delle truppe nazionali o estere per l’impiego bellico”.
E proprio questo tipo di armi si possono esportare con la sola autorizzazione del Questore e senza passare dal Ministero degli Esteri. Armi che, per giunta, non figurano nei rapporti Ue perché non per uso bellico. E così i componenti del nostro Governo possono digiunare con la coscienza a posto.