VENEZIA, 29 AGOSTO 2013 – “Via Castellana Bandiera”, una strada del quartiere Acquasanta di Palermo, che la regista Emma Dante conosce bene, visto che ci è vissuta a lungo, sino a poco tempo fa, è il set, reale e mentale del suo film d’esordio, una coproduzione con Francia e Svizzera, che ha segnato tra gli applausi il debutto del cinema italiano nel Concorso della 70ma Mostra del Cinema di Venezia.
Il film, tratto dal libro del 2008 della stessa Dante, la cui sceneggiatura è scritta con Giorgio Vasta, è in linea con certa tradizione della nostra produzione declinata dagli autori siciliani dell’ultima generazione, dai Ciprì e Maresco a Roberta Torre e Aurelio Grimaldi: un istinto realista che trasfigura la realtà in chiave grottesca, elaborando situazioni corali incarnate in personaggi al limite del simbolico. In questo caso tutto si concentra nel budello di Via Castellana Bandiera, una strada della più torrida periferia palermitana, con sullo sfondo il monte Pellegrino e ai fianchi una serie di case che stanno in piedi sulla forza di radicamento della gente.
È qui che si concentra la rabbia di Rosa, interpretata dalla stessa Emma Dante, che torna a Palermo dopo una lunga e voluta lontananza per accompagnare la sua compagna Clara (Alba Rohrwacher) al matrimonio di un amico. Emma Dante immagina il film come una sorta di road-movie, con le due protagoniste chiuse nell’abitacolo della loro automobile, perse nel reticolo di strade di una Palermo che Rosa non conosce più, dove molti anni addietro ha lasciato una madre oggi anziana che non vuol certo ritrovare.
Il suo malumore si traduce prima in un litigio con Clara, poi nel faccia a faccia testardo con Samira, una donna che le si para davanti al volante dell’auto nella quale sta riportando a casa la sua famiglia. Il budello di via Castellana Bandiera diviene così lo scenario iperpopolare di un duello che vede le due auto una di fronte all’altra, muso contro muso, con Rosa da una parte e Samira dall’altra determinate a non cedere il passo all’altra.
La gente della strada diviene così testimone, ma anche partecipe, di uno scontro che si traduce in una guerra di posizione tanto surreale quanto simbolica: la famiglia di Samira attiva un giro di scommesse su chi delle due cederà per prima, e mentre Clara riesce a entrare in relazione con alcuni di loro, Rosa oppone il suo immusonito rifiuto a un mondo dal quale è evidentemente scappata. Un mondo, che del resto, e’ altrettanto estraneo anche a Samira, che viene dall’Albania ed è la madre della donna sposata dal burbero Saro anni addietro.
Un duello, quello tra Rosa e Samira, che è anche un gioco allo specchio, l’immagine riflessa di due femminilità recalcitranti allo schema sociale e prigioniere in cerca di libertà. Emma Dante trascende le dinamiche della messa in scena con evidente partecipazione, cercando un rigore tanto determinato da apparire un po’ rabbioso.
Il film è avvinghiato a una metafora tutto sommato semplice, a una gestualità che non lasci spazio alla fantasia nemmeno nel finale, in bilico su liberazioni spirituali senza libertà effettiva, mentre Samira diviene un po’ lo spettro del confronto di Rosa con l’anziana madre. Di certo un film deciso, oltre che un’opera ardua.