PALERMO, 21 AGOSTO 2013 – ”Non capisco il clamore che si sta sollevando sulla legge siciliana in materia di ineleggibilità – incompatibilità recentemente approvata”. Il presidente della Regione Crocetta sente l’esigenza di ritornare sulle polemiche seguite alla decisione del Commissario dello Stato di cassare tre commi del cosiddetto “ddl antiparentopoli”.
Se gli effetti del provvedimento di Carmelo Aronica hanno in ogni caso “depotenziato” il decreto (sbandierato inizialmente come rivoluzionario), le successive critiche hanno evidenziato ancor di più che attorno al Governatore sembra essersi formato un crescente malcontento: e non solo da parte delle forze politiche di opposizione.
Anche alleati e “quasi alleati” lamentano, a gran voce o sussurrando, l’atteggiamento snervante del presidente della Regione, propenso a fare “annunci ad effetto” e ad assumere decisioni non concordate con la maggioranza politica, che spesso naufragano fra l’aula e il vaglio di costituzionalità. E adesso, come molti avevano profetizzato, si profilano problemi difficilmente superabili per dare effettvo corso al provvedimento che ha abolito le Province, altra icona della comunicazione crocettiana.
Così Crocetta torna all’attacco e, con qualche punzecchiatura al commissario dello Stato Aronica, ribadisce la bontà del ddl approvato, anche se ora monco dei tre commi. “Il Commissario dello Stato – scrive Crocetta – ha richiesto di omettere le parole ‘socio’, ‘funzionario’, ‘dipendente’. Ovviamente, laddove il funzionario è dipendente di società partecipate della Regione e operanti in ‘house’, non si comprende il motivo di tale disparità rispetto al funzionario della Regione”.
”Mentre – aggiunge – la benevolenza nei confronti del socio, ci sembra eccessiva essendo il socio detentore reale e vero del potere economico del patrimonio dell’azienda e quindi in grado di esercitare una influenza dominante. Ne è prova il fatto che nella recente inchiesta sulla formazione due dei soggetti coinvolti affermano testualmente ‘non ci possono fare nulla perchè siamo soci’.”
“Voglio rappresentare che con la legge sulle incompatibilità e ineleggibilità abbiamo introdotto, per la prima volta, la regola che la partecipazione ad enti di diritto privato, anche senza finalità di lucro, che fruiscono di finanziamenti o contributi da parte della Regione costituisce motivo di ineleggibilità ed incompatibilità a deputato regionale. Tutto ciò è rimasto ed introduce nuovi livelli avanzati di salvaguardia del ruolo di deputato e degli interessi della pubblica amministrazione”.
”Non riesco a capire – conclude – l’invocazione continua che parte della politica siciliana fa sull’applicazione del decreto legislativo n. 39/2013. Questo decreto legislativo è già applicato anche in Sicilia e, comunque, non mi pare che in Italia abbia risolto la questione del conflitto d’interessi. La legge siciliana in questo campo vuole fare di più rispetto al Paese anche perchè il Legislatore ha affidato alla Regione la facoltà di introdurre norme e criteri più rigorosi rispetto al resto della Nazione. Banalizzare pertanto, il risultato raggiunto è veramente miope, perchè mostra disinteresse all’introduzione di norme più stringenti che regolino la vita delle Istituzioni”.
‘‘Non si può più, oggi, nelle Regioni e negli altri enti locali, fare finta che le norme nazionali di contrasto alla corruzione non esistano o non siano applicabili agli enti locali, i quali non possono essere o diventare un porto franco dell’illegalità o della corruzione”. Lo dice il ministro della Funzione pubblica, Gianpiero D’Alia, che in una lunga nota precisa il quadro normativo dei provvedimenti anticorruzione applicabili fin da subito anche alla Regione siciliana.
”Neppure si può pensare, o addirittura affermare, come pure è successo, – aggiunge D’Alia- che la richiesta di applicazione immediata di queste norme nazionali sia una mortificazione dell’autonomia locale: si tratta di una motivazione incoerente e strumentale”.
Per il titolare della Pa ”la legislazione anticorruzione nazionale deve essere immediatamente ed efficacemente applicata, senza ritardi, senza deroghe e senza scuse”. ‘
‘Se gli enti locali ritengono di potere e dovere fare più di quanto è stabilito nella legislazione nazionale, – conclude D’Alia – lo faranno nel rispetto delle regole costituzionali sul riparto di competenze e delle rispettive procedure di legislazione locale; ma la dichiarata volontà di andare oltre le norme nazionali non può essere un comodo alibi o un pretesto per non applicare le norme cogenti dello Stato”