PALERMO, 31 LUGLIO 2013 – Un’altra tragedia della disperazione. Della mancanza di lavoro. Della brutalità di un mondo sempre meno a misura d’uomo.
L’allarme è serissimo. Viviamo una situazione socio-economica drammatica come mai negli ultimi sessant’anni, dal dopoguerra a oggi, la disoccupazione – giovanile e non – dilaga, soprattutto manca una reale prospettiva cui aggrapparsi. È proprio questo, la mancanza di luce in fondo al tunnel, il segnale più grave che destabilizza chi non ha la fortuna di avere le spalle sufficientemente larghe.
La classe dirigente di questa regione deve riflettere e non soltanto la politica, che comunque ha la sua buona fetta di colpe. Tutti devono sentirsi un po’ responsabili, perfino i sindacati che oggi si uniscono al coro di critiche, finanche la stampa che troppo spesso racconta i fatti dimenticandosi dei drammi umani e delle conseguenze psicologiche che si nascondono dietro un pezzo di venti righe.
Da mesi, anni, l’emergenza lavoro in Sicilia è prioritaria nei fatti ma raramente gli argomenti sono stati affrontati con la necessaria concretezza. C’è sempre – o almeno sembra che ci sia, il che spesso è la stessa cosa – la sensazione che ogni intervento, ogni dichiarazione, ogni azione e la conseguente reazione, siano animati da interessi di parte e non da quella esigenza del bene comune che dovrebbe guidare i governanti.
C’è sempre il rischio di scadere nella demagogia, che per chi fa il mestiere di giornalista non è certo una cosa bella. Riccardo De Lisi, la vittima di oggi, si è tolto la vita per una crisi depressiva che lo ha logorato giorno dopo giorno. Non percepiva lo stipendio da mesi, non ha retto il peso della responsabilità di colpe che non sono state certo sue. Non si può generalizzare così a caldo ma il fatto che fosse un dipendente dell’area della Formazione professionale non sembra essere un caso.
Da mesi quello della Formazione è il settore regionale più chiacchierato: inchieste, scandali con tanto di strumentalizzazioni politiche, licenziamenti veri o minacciati, riduzioni del personale, soprattutto un uso mediatico del problema spesso sconcertante. Si è parlato tanto di sigle ma poco di uomini, di storie umane.
Stanno venendo al pettine, in questo come in altri settori dell’amministrazione regionale, nodi che si sono stretti nel corso degli anni e che nemmeno questo Governo o questo Parlamento hanno saputo affrontare con la dovuta perizia. Pur riconoscendo le obiettive difficoltà di chi deve prendere le decisioni nessuno può negare che il problema dell’occupazione non sia stato affrontato nel modo giusto.
Nell’ultimo anno i suicidi si sono moltiplicati, le storie di degrado non si contano più, la popolazione sotto la soglia di povertà è raddoppiata. Stiamo vivendo una sorta di guerra ma questo non è ancora adeguatamente chiaro. Non si spara come nelle guerre di una volta, ma l’assenza di lavoro e di prospettive di una vita dignitosa fa più male di un proiettile.