PALERMO, 11 GIUGNO 2013 – Il processo Borsellino quater che vede alla sbarra i boss Salvo Madonia, Vittorio Tutino e i falsi collaboratori di giustizia Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Calogero Pulci si sposta all’aula Bunker del carcere di Rebibbia a Roma per ascoltare la deposizione del pentito Gaspare Spatuzza.
Il collaboratore di giustizia ribadisce che dal ’92 al ’94 il clan mafioso di Brancaccio cambia strategia ed agisce in modo “che non entra nell’ottica sia pur perversa di cosa nostra”. Spatuzza si riferisce alle stragi di Falcone e Borsellino e agli attentati del ’93. Poi chiarisce che fin dal ’97 aveva dichiarato che la verità su via D’Amelio era diversa da quella delineata dalle prime indagini ma “non seppi più nulla dalle istituzioni. Di più non avrei potuto dire perché rischiavo la vita”.
Poi parla della sua dissociazione e dell’ultima fase della strategia terroristica di Cosa nostra. “In carcere parlai di dissociazione con Graviano, ma lui mi disse che dai magistrati non avevamo nulla da aspettarci”. Poi l’attentato all’Olimpico dove dovevano essere uccisi i Carabinieri in servizio davanti allo stadio.
“Facemmo un incontro a Campofelice di Roccella con Giuseppe Graviano e Cosimo Lo Nigro –racconta Spatuzza – per pianificare un attentato a Roma in cui dovevano morire un bel pò di carabinieri”. Il pentito ricorda che protestò per i “morti che non ci appartenevano” ma Graviano spiegò che “chi si doveva smuovere si sarebbe dato una smossa. Chiese se capivamo di politica e spiegò che c’era di mezzo qualcosa che se andava a buon fine ne avremmo tutti giovato a cominciare dai carcerati”.
Poi l’attentato non si fece, sembra per un difetto nel telecomando che doveva far saltare l’auto imbottita di esplosivo, o forse per altro. Spatuzza racconta ai giudici della Corte d’Appello di Caltanissetta di un altro incontro con Graviano al bar Doney di via Veneto a Roma. “Mi disse che avevamo il Paese nelle mani grazie ad alcune persone serie che non erano come i socialisti che prima avevano preso i voti poi ci avevano fatto la guerra. Poi mi fece il nome di Berlusconi e del nostro compaesano Dell’Utri”.