PALERMO, 10 GIUGNO 2013 – Sette ore per leggere 165 pagine di memoria difensiva. La maratona del generale Mario Mori al processo che lo vede imputato insieme al colonello Mauro Obinu per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra, si è conclusa questa mattina.
Mori ha continuato a negare l’intera architettura dei pm ma un passaggio lo dedica al regime del carcere duro: “L’unico, chiaro indirizzo di natura politico-amministrativa che possa apparire come una concessione verso Cosa nostra, di cui ho conoscenza è stato quello, operato dal Ministero della Giustizia nel corso dell’autunno del 1993, e proseguito poi nei mesi seguenti, della riduzione del numero dei detenuti sottoposti al 41 bis”.
Ma aggiunge che si tratta di una decisione della quale la classe politica “debba eventualmente rispondere, ma in sede politica”. Poi la conclusione: “Attendiamo quindi serenamente il vostro giudizio, intimamente persuasi, comunque, di avere sempre operato correttamente, non solo nel doveroso rispetto delle leggi, ma anche e soprattutto nell’osservanza delle regole deontologiche poste a base dei nostri convincimenti, della nostre scelte professionali e del nostro status di militari”.
Fra il pubblico è presente il tributarista Gianni Lapis, coinvolto in passato in un’inchiesta con Massimo Ciancimino e che “condivide” uno degli avvocati di Mori e Obinu che lo assiste in un altro procedimento che lo vede indagato per riciclaggio. Si tratta del legale Enzo Musco che è il primo a pronunciare l’arringa difensiva.