ANKARA, 3 GIUGNO 2013 – Trascorsa la terza notte di scontri per le vie di Ankara. La polizia turca durante la notte è tornata a disperdere la folla di manifestanti che si era accalcata in piazza per contestare il governo di Ergodan.
Quella che era iniziata come una manifestazione contro la costruzione di un centro commerciale sui terreni occupati da una vasta area verde di Istanbul si è trasformata nei giorni in una violenta protesta contro il governo del paese. I contestatori che in questi giorni stanno dando vita a quella, che alcuni commentatori hanno definito “primavera turca”, si oppongono alle scelte governative e definiscono il primo ministro “dittatore”.
L’urlo che riempiva la piazza: ”Dittatore, dimettiti! Noi resisteremo fino alla vittoria”, ha fatto da sottofondo agli scontri che hanno portato, secondo i dati ufficiali, al ferimento di almeno 58 cittadini turchi e 115 agenti delle forze dell’ordine. Ma è un numero che risulta decisamente più basso rispetto a dato diffuso da alcune fonti mediche locali che parlano di oltre quattrocento civili feriti.
Nei tre giorni di scontri, Erdogan ha parlato in pubblico per tre volte, respingendo le accuse di essere un tiranno e ha annunciato ai manifestanti: “se voi amate questo Paese, se amate Istanbul, non cadete in questi giochi” che “sono condotti da una frangia estremista”.
Se sui media tradizionali turchi la vicenda ha avuto un’attenzione mediatica piuttosto sottotono, mentre, come in altri casi nati nelle piazze del Medio Oriente e del Nord Africa, è stata la rete a diffondere le notizie attraverso Facebook e Twitter. Una diffusione così capillare da spingere Erdogan ad affermare che ”ora c’è una nuova minaccia che si chiama Twitter. Le bugie migliori si possono trovare qui. Per me, i social media sono la peggiore minaccia della società”.