PALERMO, 25 MAGGIO 2013 – Le esigenze connesse alle ipotesi di maternità e di paternità dei lavoratori non sono state ignorate dal Legislatore, il quale è intervenuto con una disciplina ad hoc, prevedendo differenti istituti che, nel loro insieme, mirano ad apprestare una tutela ad ampio spettro alla formazione “famiglia”.
La normativa di riferimento è rappresentata dal Decreto Legislativo 151/2001, il cosiddetto “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita’”, il quale disciplina puntualmente, tra gli altri, gli istituti del congedo per maternità e per paternità, il congedo parentale, nonché il congedo per malattia del figlio.
Illustriamo, in modo schematico e senza alcuna pretesa di esaustività, le disposizioni cardine in materia di congedo parentale. In particolare, per congedo parentale si intende la facoltà per il lavoratore dipendente che sia genitore, di astenersi in via continuativa o frazionata dal lavoro fino al compimento dell’ottavo anno di vita del figlio e per un periodo non superiore a sei mesi.
Il congedo parentale può essere fruito sia dalla madre, senza per questo intaccare il periodo di astensione obbligatoria per maternità, che dal padre, a far data dalla nascita dal figlio. Il periodo massimo di astensione consentito ad entrambi i genitori è di 10 mesi. La disciplina, tuttavia, conosce delle deroghe in melius. In caso vi sia un solo genitore, il periodo di estensione viene elevato a 10 mesi.
Al padre lavoratore che usufruisca di congedo parentale per almeno 3 mesi continuativi, viene riconosciuta la possibilità di astenersi per 7 mesi ed il limite massimo complessivo usufruibile da entrambi i genitori viene elevato a 11 mesi. Inoltre, in caso di figlio portatore di handicap grave, in presenza di determinati presupposti, il periodo di congedo parentale può essere elevato a tre anni.
Analoga tutela viene riconosciuta ai genitori adottivi ed affidatari, i quali possono fruire del congedo parentale a prescindere dall’età del minore, entro 8 anni dall’ingresso di costui in famiglia e comunque e non oltre il raggiungimento della maggiore età.
Per quanto concerne l’aspetto economico, la legge prevede che in caso di lavoratori (o lavoratrici) dipendenti durante il periodo di congedo sia dovuta fino al terzo anno di vita del bambino un’indennità, in misura percentuale del 30% della retribuzione, per un periodo massimo di sei mesi. Superati i sei mesi, e fino all’ottavo anno del bambino, l’indennità così determinata spetta solo in presenza di determinati requisiti di reddito.
Ricordiamo che la previsione del congedo parentale non riguarda solo i lavoratori dipendenti, ma anche i lavoratori parasubordinati iscritti unicamente alla gestione separata Inps, nonché le lavoratrici autonome che siano in regola con il pagamento dei contributi previdenziali. Non è previsto, invece, il congedo parentale per i lavoratori autonomi. Il periodo massimo di congedo spettante alle due categorie indicate è di tre mesi, fruibili entro il primo anno di vita del bambino. Per le lavoratrici autonome, peraltro, durante il periodo di congedo vige un esonero dall’obbligo contributivo.
Ovviamente nel caso in cui l’avente diritto sia un lavoratore parasubordinato, un iscritto alla gestione separata Inps o una lavoratrice autonoma, differente sarà il parametro per determinare l’ammontare della indennità prevista. La percentuale del 30%, difatti, sarà commisurata, rispettivamente, ad una quota del reddito percepito nell’ultimo periodo ed alla retribuzione convenzionale giornaliera stabilita dalla legge.
Avv. Nicoletta Neglia
Giambrone Law – Studio Legale Internazionale