PALERMO, 25 MAGGIO 2013 – Padre Pino Puglisi è morto il giorno del suo compleanno, il 15 settembre, nel 1993. A chi gli ha puntato la pistola contro ha sorriso e ha detto: “Me l’aspettavo”. Oggi, a vent’anni dall’esecuzione, il martirio del parroco antimafia di Brancaccio ottiene il riconoscimento della Chiesa cattolica attraverso la beatificazione.
Un momento che non soltanto tanti palermitani, ma anche i fedeli e i meno credenti di tutta Italia, attendono da tanti anni. Le procedure per il riconoscimento del martirio di Padre Puglisi, infatti, furono avviate nel 1998, cinque anni dopo il brutale assassinio, e si sono concluse soltanto nel 2012 con il nulla osta della Congregazione per le cause dei Santi in Vaticano. Per celebrare l’ingresso del parroco più amato di Palermo sono attese al Foro Italico quasi centomila persone.
Il Centro Padre Nostro di Brancaccio è il luogo simbolo, dedicato alla fede e ai giovani, che il parroco aveva inaugurato soltanto pochi mesi prima di essere ucciso e che anche negli ultimi tempi è stato spesso oggetto di gesti vandalici. Padre Puglisi aveva fortemente voluto creare un posto dove i ragazzi del quartiere potessero ritrovarsi, giocare insieme, crescere nella fede, lontani dalle strade dove la mafia e il malaffare reclutavano le nuove leve per i loro crimini.
Un progetto, quello del Centro, che dava fastidio alla mafia che cominciò quindi a mandare al parroco segnali sempre più precisi. Fino a ucciderlo, nel giorno del suo 56esimo compleanno. Ma il suo insegnamento, come quello dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, non è stato dimenticato e “cammina sulle gambe di tanta altra gente”.
“Non possiamo mai considerarci seduti al capolinea – diceva Puglisi – già arrivati. Si riparte ogni volta. Dobbiamo avere umiltà, coscienza di avere accolto l’invito del Signore, camminare, poi presentare quanto è stato costruito per poter dire: sì, ho fatto del mio meglio”.
Giuseppe Puglisi era nato nella borgata palermitana di Brancaccio nel 1937. Giovanissimo sentì che avrebbe dedicato la sua vita alla Chiesa e nel 1953 entrò al seminario diocesano. Dopo tanti incarichi ecclesiastici in giro per la Sicilia, tornò nella sua borgata nel 1990. Lì iniziò il suo lento martirio. Osservava la sua gente, la vedeva perdersi per le strade, seguendo vie che portavano direttamente tra le braccia dei mafiosi.
Cominciò così a lottare con tutte le proprie forze, urlando dal pulpito o dalle pagine dei giornali, per salvare almeno i più giovani, a cui dedicò sempre il suo amore di parroco e pastore. Ma la mafia non gliela perdonò.