PALERMO, 21 MAGGIO 2013 – Che le immagini di Bernardo Provenzano ripreso dalle telecamere di sorveglianza nel parlatorio del carcere di Parma avrebbero suscitato aspre polemiche nessuno nutriva dubbi.
Dopo lo scoop della trasmissione “Servizio Pubblico” il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri ha chiesto accertamenti al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) ed all’Ispettorato generale di via Arenula.
Due le questioni sulle quali il ministro vuole vederci chiaro. La veridicità delle affermazioni del boss raccolte dal figlio su presunte percosse ricevute in carcere ma anche su come il video sia stato divulgato arrivando fino alla redazione di Santoro.
Al di là dei giudizi sull’età e le condizioni di salute di Provenzano e degli atroci crimini per i quali sta scontando il regime del 41 bis, resta il dubbio che la divulgazione di queste immagini potrebbe costituire un nuovo capitolo dei tanti tentativi di ammorbidire il regime di carcere duro, uno dei primi punti del famoso “papello” di richieste che la mafia avanzò allo Stato all’inizio della presunta “trattativa”.
Intanto dalla Polizia penitenziaria sale l’indignazione. “Ma quali legnate al boss Bernardo Provenzano, controllato 24 ore su 24 da poliziotti e telecamere. Il Corpo di Polizia penitenziaria è sano e composto da donne e uomini che svolgono questa delicata professione con professionalità’, abnegazione e soprattutto umanità”.
Lo scrivono in un comunicato Donato Capece ed Errico Maiorisi, segretario generale e vicesegretario regionale dell’Emilia Romagna del Sindacato autonomo di Polizia penitenziaria. La Polizia Penitenziaria in carcere rappresenta lo Stato e salva i detenuti, altro che botte: nel 2012 i detenuti si sono resi protagonisti di 7.317 atti di autolesionismo (ingestione di corpi estranei come chiodi, pile, lamette o tagli diffusi sul corpo) e 1.308 tentativi di suicidio che, grazie all’intervento tempestivo dei nostri agenti, hanno impedito ben più gravi conseguenze. E a Parma i detenuti salvati dal suicidio sono stati 13 e 30 gli atti di autolesionismo”.
Capece e Maiorisi parlano anche del presunto tentativo di suicidio del boss nel maggio del 2012 ”fu in realtà un bluff, un maldestro tentativo di simulazione messo in atto per evitare di essere sottoposto a una visita psichiatrica già programmata. Non a caso, le modalità del presunto tentativo erano avvenute in presenza del preposto di Polizia penitenziaria addetto alla sorveglianza del detenuto. Siamo certi – concludono – che i colleghi di Parma affronteranno comunque con serenità ogni accertamento che verrà disposto”.
I radicali italiani, invece si appellano al ministro della Giustizia Cancellieri “affinché sia fatta chiarezza sull’intera vicenda, con l’augurio che le misure disumane in cui sono ristretti i detenuti in 41bis, misure che le convenzioni internazionali definiscono ‘tortura’, non si trasformino in atti di vera e propria bestialità”.