PALERMO, 22 MAGGIO 2013 – Da un po’ di anni misuro la mia “vecchiaia” con punti di riferimento diversi da quelli che altri possono avere. Niente figli o nipoti che ti fanno capire che non sei più ragazzino.
Sono 21 gli anni da quel sabato pomeriggio quando saltò in aria un pezzo di autostrada, una parte della mie certezze e forse – pian piano mi è sembrato di leggerlo sempre più chiaramente ogni giorno che passava – è saltata in aria una parte del mio futuro.
Non solo del mio, per la verità, ma non solo quello di Giovanni, Francesca, Rocco, Antonio, Vito. Anche il mio e quello di molti altri. Già, ventuno anni. E fra poche ore vedrò di nuovo quella moltitudine di ragazzini che scendono felici da due navi convinti che si può cambiare, che questa terra può cambiare.
Come sempre, farò finta che sia il vento a farmi lacrimare e sentirò lo stesso identico dolore di quel sabato pomeriggio. La stessa fierezza di avere stimato quegli uomini quando erano ancora vivi e non avere mai dubitato di loro, la fierezza di ricordare bene chi li ha traditi.
“Ma loro non cambiano…” mi risuona nelle orecchie il lamento di chi è stato ferito molto più di me. Se loro non cambiano allora possiamo cambiare noi, ma non ci credo molto mentre lo scrivo perché dopo 21 anni non è ancora chiaro chi siamo noi e chi siano loro, perché dopo 21 anni qualcosa è cambiato ma non ancora abbastanza. Quel pezzo del mio futuro, saltato in aria in autostrada, non mi è stato ancora restituito in forma di verità.