CALTANISSETTA, 22 APRILE 2013 – La drammatica scena della strage e la fase iniziale delle indagini sull’eccidio di via D’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta, sono stati oggetto della deposizione dell’ex funzionario della Dia di Caltanissetta, Fernando Buceti, che oggi ha deposto davanti alla Corte d’assise che celebra il quarto processo sull’attentato.
La mancata analisi delle sigarette trovate nel palazzo da dove sarebbe stata fatta brillare la Fiat 126 usata come autobomba in via D’Amelio, le fasi che portarono all’arresto di Salvatore Candura prima e Vincenzo Scarantino dopo, gli irrituali comportamenti che avrebbe tenuto Arnaldo La Barbera nel corso delle indagini ma anche gli spunti, rivelatisi infondati, forniti dall’ex superconsulente, Gioacchino Genchi, fino ad arrivare alla scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, sono stati gli argomenti trattati oggi al quarto processo per la strage del 19 luglio 1992 a Palermo, che proseguirà domani.
“Le cicche ritrovate sulla terrazza di palazzo Graziano, in via D’Amelio, non vennero mai analizzate”, ha rivelato il teste a proposito di quei resti rinvenuti dalla polizia il giorno dopo l’agguato sul posto che adesso viene considerato come quello in cui venne azionato il telecomando.
Rispondendo alle domande dei Pm, Buceti ha quindi raccontato la storia dell’Arsenio Lupin del nord est, il pregiudicato Vincenzo Pipino, che a gennaio del 2010, dopo la morte di Arnaldo La Barbera, ha sostenuto di essere stato per anni l’informatore dell’ex capo del Gruppo “Falcone-Borsellino” che condusse le indagini sulle due stragi del ’92.
Pipino, interrogato da Buceti, ha riferito di essere stato contattato da La Barbera mentre si trovava nel carcere romano di Rebibbia e di essersi fatto convincere a collaborare alle indagini, accettando il trasferimento nella stessa cella del carcere di Venezia nella quale si trovava rinchiuso Scarantino. Scopo della missione era accertare se il “picciotto” della Guadagna fosse o meno coinvolto nell’agguato a Borsellino. Secondo quanto Pipino avrebbe riferito a Buceti, La Barbera avrebbe informato il suo confidente della presenza di microspie, inducendolo a parlare con Scarantino fuori dalla cella. A La Barbera il confidente sostiene di aver detto che il picciotto della Guadagna, a suo modo di vedere, era innocente.
Altro tema toccato durante il lungo interrogatorio è stata la scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino. “La borsa era senza dubbio nella vettura del magistrato in via d’Amelio”, ha detto Buceti, spiegando come fu lo stesso Manfredi Borsellino, figlio del magistrato, a metterla nella blindata del padre. In mattinata, inoltre, la figlia Fiammetta aveva visto il padre con l’agenda rossa sul tavolo vicino alla borsa di pelle e poi – ha riferito – di non averla più vista quando il padre andò a Villagrazia di Carini. “Dopo l’esplosione la borsa era integra”, ha detto sicuro il teste, basandosi sulle immagini acquisite.
Immagini in cui si vede pure l’allora capitano Giovanni Arcangioli allontanarsi con la borsa in mano. L’ufficiale è stato prosciolto dall’accusa del furto dell’agenda perché, anche secondo la Cassazione, non c’era la prova che si trovasse all’interno della borsa al momento dell’esplosione.