I social network e il pericolo di una informazione senza filtro

di Redazione

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I social network e il pericolo di una informazione senza filtro

| mercoledì 17 Aprile 2013 - 13:23

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PALERMO, 17 APRILE 2013 – Il progresso, che bella cosa. Basta però saperlo usare con cautela, come tutte le cose.

Se fino a quindici anni fa vivevamo serenamente senza telefonini, oggi non sappiamo più farne a meno.

Nemmeno mia mamma, anti-tecnologica per eccellenza come tante persone di una certa età, esce più di casa senza prima avere controllato di averlo nella borsa.

 

Un progresso inarrestabile, utile, utilissimo, che ha permesso a ciascuno di noi conquiste (e qualche forma moderna di schiavitù). L’ultima frontiera si chiamano social network. Quando nel 2008 sentii per la prima volta parlare di Facebook non sapevo nemmeno cosa fosse. Oggi, dopo quasi cinque anni di vita virtuale, mi accorgo che parte della mia vita passa attraverso questo mondo: è più facile comunicare, è più semplice tenersi in contatto, ti permette di sapere sempre tutto degli “amici” anche quando non hai il tempo (o la voglia) di alzare il telefono.
Con le dovute controindicazioni: sei “costretto” a sapere anche quello che non ti interessa o che non vorresti sapere, sei portato a sostituire (o quantomeno a sovrapporre) la vita reale con quello che passa dalla bacheca di Fb, definisci automaticamente amici anche quelli che non lo sono neanche un po’.
E se questo è l’impatto che Facebook o Twitter possono avere su ciascuno di noi, sulla parte più intima e privata di ciascun utente, ce n’è un altro ancora più ampio. E pericoloso.

 

Oggi 18 milioni di italiani usano più di un mezzo di comunicazione: smartphone, tablet e pc sono diventati abitudini quotidiane (con i relativi pericoli per la privacy) e i social network come Facebook e Twitter raggiungono circa il 90% di questi cittadini.

 

Un uso che è stato “istituzionalizzato”: basti pensare al Movimento 5 Stelle e al nuovo approccio dei grillini alla politica attraverso l’uso dei social network e alle campagne elettorali giocate in rete anche da politici più datati o al Papa che sbarca su Twitter.

 

Attraverso queste piattaforme transitano milioni di informazioni, milioni di link, di foto, di frasi e parole che, se utilizzati nel modo errato rischiano di far circolare messaggi sbagliati, inesatti, non “filtrati” dall’occhio e dal giudizio di un professionista dell’informazione. E non perché i giornalisti siano più bravi o siano gli unici titolati a divulgare fatti e accadimenti: nessuno vuole negare la libertà di parola ma un approccio professionale serve a non far arrivare in rete qualsiasi cosa, qualsiasi notizia che non sia stata verificata, che non sia stata “lavorata” attraverso principi deontologici ed etici che dovrebbero garantire autorevolezza al mestiere e certezza al lettore.

 

Il tam tam che la rete permette – lo dimostra la catena di notizie che si è diffusa in pochissimi minuti dopo l’esplosione durante la maratona di Boston – rischia di diventare un clamoroso boomerang, se queste notizie non sono più “controllate” da chi ha accesso alle fonti e da chi ha il dovere di verificare ogni singola parola.

 

La proposta del capogruppo del Movimento 5 Stelle al Senato, Vito Crimi, di abolire l’Ordine dei Giornalisti è lo specchio di questa realtà: il tentativo di delegittimare una professione e nel contempo di avallare un sistema in cui tutti possono spacciare per notizia qualcosa, qualcosa che hanno sentito dire, che gli è stata riportata e che nessuno ha avuto, per mestiere, l’obbligo di verificare, a tutela del lettore.

Un sistema che non può e non deve diventare regola.

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