PALERMO, 12 APRILE 2013 – È passato un mese dall’insediamento dei parlamentari eletti nelle ultime elezioni del 24 e 25 febbraio scorso. E anche se il Paese è ancora senza un governo, i parlamentari hanno incassato il primo assegno per questa legislatura.
Si è sempre parlato dei costi della politica, degli stipendi, delle indennità, delle diarie, dei privilegi della cosiddetta “casta”, evidenziando come il nostro Paese conservi almeno un primato: quello di sostenere i costi più alti di tutta l’Europa. A conti fatti, non ci sarebbe bisogno di diminuire il numero dei parlamentari, bensì ridurre i loro compensi.
Su questo fronte i grillini sono stati i primi a dare un segnale forte, con il “Restitution Day”: i 15 deputati regionali del Movimento Cinque Stelle dell’Assemblea Regionale Siciliana hanno restituito il 70% dello stipendio, conservando un netto mensile di 2.500 euro.
Ma lo stesso discorso vale se ci spostiamo a Roma? Viene da domandarselo se il primo a lamentarsi di una situazione insostenibile è proprio un seguace di Beppe Grillo. Si tratta di Francesco Campanella, senatore palermitano che in un’intervista ha dichiarato che la vita nella capitale è troppo cara e con i tagli “imposti” dall’austerity dettata dall’ex comico genovese non si arriva a fine mese. Tanto vale tornare a Palermo.
Il suo caso rischia di diventare simile a un altro, quello di Sergio Troisi, il giovane ingegnere trapanese eletto all’Assemblea Regionale Siciliana che ha preferito ritornare a esercitare la sua professione per prendere parte a un importante e ‘meglio retribuito’ progetto lavorativo tra Londra e Medio Oriente.
Il quadro non sembra essere confortante. Il Paese ha bisogno di un segnale forte di cambiamento e di presa di coscienza. Pietro Grasso e Laura Boldrini, rispettivamente Presidente del Senato e Presidente della Camera, hanno deciso di tagliare del 30% la loro indennità. Anche in questo caso qualcuno ha storto il naso visto che l’indennità è poco più di un terzo dello stipendio complessivo che gli spetta, ma ad ogni modo è sempre un passo in avanti.
La cosa su cui dovremmo riflettere è che il Paese ha bisogno di gente professionalmente valida e preparata per uscire dal baratro in cui è sprofondato e non possiamo più permetterci che preferiscano tornare al lavoro che avevano prima piuttosto che occuparsi di politica, del futuro dell’Italia e degli italiani.
L’obiezione potrebbe essere che chi decide di fare un passo indietro vuol dire che non è animato dal fuoco sacro di chi vuole cambiare il mondo. Ma, visti i tempi che corrono, sfido a trovare qualcuno che ci voglia rimettere, in nome di un ideale. O di un piano precostituito e ben progettato che però non calza a tutti. Astenersi perditempo, naturalmente.