PALERMO, 11 APRILE 2013 – Ma davvero Ingroia e Crocetta pensavano che il Csm potesse dire sì alla nomina del magistrato antimafia alla guida di Riscossione Sicilia? Ma davvero la politica siciliana deve continuare a svilupparsi con annunci roboanti e con la quasi totale assenza di fatti mentre la Sicilia vive uno dei suoi momenti più bui?
Da questa vicenda il magistrato Antonio Ingroia esce molto ridimensionato (e dispiace, considerato il suo passato di servitore della giustizia) ma nemmeno Rosario Crocetta fa una grande figura.
Fatta salva la buona fede dei protagonisti, la spiacevole sensazione che questa vicenda ha lasciato nella gente comune è quella di un magistrato (ex?) che avrebbe accettato qualunque incarico pur di non tornare a fare il magistrato e di un presidente della Regione che se ne inventa una al giorno pur di avere la copertina sui giornali.
Ingroia ha fallito. Nessuno può discutere la sua storia e il suo impegno antimafia maturato in vent’anni di pericolose – e dunque coraggiose – sfide al cancro mafioso. Ma negli ultimi mesi, diciamo due anni, il suo è stato un progressivo allontanarsi dalla toga.
Prima l’assaggio della ribalta, con le tante presentazioni letterarie in giro per l’Italia che in molti sospettavano essere già il preludio a un futuro diverso; poi il gusto di commentare la politica da dietro le quinte (ma con la toga addosso e con prese di posizione mai banali); in seguito l’impegno politico ufficiale, in prima persona, e non un impegno qualunque ma addirittura quello di leader di “Rivoluzione civile” e candidato premier di un Paese allo sbando; la clamorosa bocciatura arrivata dalle urne; infine – quando sembrava aver accettato la sconfitta e la nuova destinazione di Aosta come inevitabile conclusione di questo percorso – è arrivata la nomina a presidente di Riscossione Sicilia spa, un ruolo – con tutto il rispetto – che aveva già fatto storcere il muso anche a molti dei suoi colleghi più vicini.
E ora? Poco importa, alla gente di strada. Ingroia potrà ricominciare da Aosta (visto il luogo non possiamo dire “svernare”) o potrà ancora tentare un’avventura politica magari nel ruolo di assessore, come sussurra qualcuno. Ingroia però si è ormai giocato irrimediabilmente quel patrimonio di terzietà conquistato in una onorata carriera; come politico – paragone che lui ben comprenderà essendo un interista sfegatato – sarebbe come partire con una pesante penalizzazione e dover inseguire al massimo una faticosa salvezza.
Rosario Crocetta invece mette toppe. Dice il presidente della Regione che se Ingroia vorrà – dimettendosi dalla magistratura – il posto di Riscossione Sicilia sarà ancora suo.
Ma Crocetta ha perso credibilità, anche tra gli alleati. Dopo i flop di Battiato e Zichichi, dopo aver nominato assessore la sua segretaria, dopo aver fatto l’attore protagonista nelle trattative assembleari (prima con i grillini, poi con il centrodestra) pur di ottenere il lasciapassare a provvedimenti e nomine, professando il credo del “modello Sicilia” o delle “maggioranze variabili”, questa nomina di Ingroia che in pochi volevano ha provocato ulteriori crepe nella maggioranza di centrosinistra.
Nulla di peggio, alla vigilia dell’approvazione del Bilancio che è il tradizionale momento assembleare in cui ognuno regola i conti in ragione dei proprio tornaconto personale o per consentire alla propria forza politica di conquistare nuovo potere contrattuale.
Il Crocetta che ha pensato di poter addomesticare l’opinione pubblica con qualche passerella nelle televisioni nazionali (e in parte c’è riuscito) adesso deve cambiare radicalmente registro.
Ogni giorno davanti al “suo” Palazzo si danno appuntamento migliaia di persone che, a torto o a ragione, chiedono un pezzo di pane per sfamare la famiglia. Il Pil della Sicilia è ai minimi termini, la disoccupazione galoppa, la fiducia della gente è sempre più giù come ha dimostrato l’astensionismo alle ultime regionali (oltre il 50%), le imprese sono strangolate tanto dai debiti quanto dai crediti che non riescono ad esigere; gli imprenditori si uccidono per debiti e disperazione; la macchina amministrativa è in folle e con il freno a mano tirato.
E ora arriva in Assemblea il Bilancio “lacrime e sangue” che imporrà ancora tagli su tagli per cercare di contenere il buco (eliminarlo è impossibile) con la prospettiva di beghe interne e di un clima da tutti contro tutti che potrà solo peggiorare le cose.
La verità è che basta entrare, anche per poche ore soltanto, nelle stanze del potere per accorgerti davvero di entrare in un mondo a se stante, del tutto lontano dalla realtà.
Mentre fuori la nave affonda l’orchestrina del Titanic se la canta e se la suona.