PALERMO, 23 MARZO 2013 – Dopo 18 anni vissuti sotto copertura in una località segreta ed avere cambiato identità, rimane senza scorta per la decisione del ministero dell’Interno e così sceglie di mostrarsi pubblicamente e riprendere i suoi panni affrontando tutti i rischi.
È Giuseppe Carini (nella foto), 45 anni, il testimone che fece arrestare i killer di padre Pino Puglisi, il parroco di Brancaccio ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993, aprendo le porte del carcere ai Graviano. “Spero che questa decisione serva a qualcosa – dice il testimone a Si24 – non so ancora quali conseguenze potrà avere ma già il fatto di essermi mostrato in pubblico potrebbe pregiudicare il programma di protezione”.
Carini è in Sicilia ma presto dovrà tornare lì dove da 18 anni lo conoscono con altra identità. Rischia di perdere il lavoro, quello che lui stesso si era trovato: “Il reinserimento nel mondo del lavoro da parte dello Stato è una grande menzogna – dice – quel lavoro me lo sono trovato da solo e adesso confido solo nella sensibilità di chi me lo ha offerto”.
Una sensibilità che, secondo Carini, le istituzioni non hanno avuto: “Io non chiedo certo una scorta per la mia vita protetta ma nei rari casi nei quali riacquistavo la mia identità per partecipare ad incontri sulla legalità nelle scuole o a dibattiti dove portavo la mia testimonianza e spingevo affinché altri seguissero il mio esempio mi è sempre stata negata qualunque protezione”.
Il testimone dell’omicidio di Padre Puglisi è visibilmente preoccupato del suo gesto eclatante: “Adesso tutto è un’incognita, non so cosa potrà accadere ma non sono pentito di aver detto basta in questa maniera. Lo Stato non può dimenticarsi di chi ha servito le istituzioni rischiando la vita”.
Ma lui non si è mai pentito di avere testimoniato in quel processo: “È passato molto tempo, ma non ho mai pensato di potere agire diversamente. Ho fatto il mio dovere di cittadino. L’amarezza è per come le istituzioni mi hanno ricambiato”.
Accanto a lui Ignazio Cutrò, presidente dell’associazione testimoni di giustizia, anche lui un testimone che ha, però, deciso di restare a Bivona e di creare questa associazione: “Alcuni ci accusano di volere soldi, favori o chissà cosa – chiarisce – ma in realtà noi vogliamo soltanto che vengano applicate le leggi che già ci sono. Se per lo Stato noi testimoni siamo solo un peso lo dicano chiaramente. Credo che le scorte prima che ai politici debbano essere assicurate e magistrati e testimoni. E soprattutto deve essere applicato il principio sancito dalla legge che il testimone debba essere aiutato a rifarsi una vita e protetto nella sua incolumità. Non possiamo essere trattati peggio dei cani e delle associazioni che se ne occupano. Abbiamo avuto due incontri il 27 febbraio e il 12 marzo con la Commissione che si occupa della protezione dei testimoni ma le risposte tardano ad arrivare. Abbiamo deciso di venire a Palermo e incontrare il capo della Direzione Distrettuale Antimafia, Vittorio Teresi per illustrargli i nostri problemi”.
Cutrò annuncia anche di avere ripresentato al Governatore Crocetta una proposta di legge che equipari i testimoni ai familiari delle vittime di mafia e terrorismo “speriamo che Crocetta la approvi, noi vogliamo solo essere trattati come gli altri, non siamo nemici dello Stato e neanche dei pazzi”.
Sulla decisione clamorosa di Carini esprime preoccupazione: “La considero una mossa azzardata ma gli sono accanto, capisco ciò che sta vivendo e questa sua decisione è un motivo in più per continuare il mio impegno”.