Il pizzo e la droga: quando la crisi e gli arresti non possono fermare gli affari della “mafia holding”

di Redazione

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Il pizzo e la droga: quando la crisi e gli arresti non possono fermare gli affari della “mafia holding”

| martedì 12 Marzo 2013 - 09:51

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PALERMO, 12 MARZO 2013 – Gli affari devono continuare, una holding come Cosa nostra non può permettersi di restare senza capi, soprattutto in un momento di crisi economica. (all’interno il video dell’operazione Atropos).

Dagli arresti di oggi, eseguiti dalla Squadra Mobile di Palermo dopo l’ordinanza del Gip Petrucci su richiesta della Direzione Investigativa Antimafia, emerge uno spaccato certo non inconsueto ma pur sempre inquietante dei mille tentacoli delle organizzazioni mafiose. E soprattutto della loro capacità di affrontare i problemi, primi fra tutti gli arresti delle forze dell’ordine.

 

Dopo l’operazione Atropos del 23 ottobre dello scorso anno, il mandamento della Noce resta decapitato, 41 mafiosi in carcere, i commercianti della zona che con sollievo sentono la morsa del racket delle estorsioni allentarsi e di parecchio. Anche l’arresto del capo di Altarello di Baida, Vincenzo Tumminia, preoccupa gli affiliati che devono assicurare il mantenimento dei picciotti e delle famiglie dei carcerati. Ne parlano, intercettati, Antonino Bonura e Salvatore Seidita che decidono di investire sul quarantunenne Renzo Lo Nigro che, di fatto, diventa il nuovo boss del mandamento.

 

Il racket riprende la sua attività di taglieggiamento costante nell’intero quartiere con Lo Nigro spalleggiato da Mario Di Cristina e Girolamo Albanese (arrestato ad ottobre). Da un’altra intercettazione gli inquirenti hanno un’altra conferma: è Lo Nigro a gestire “gli stipendi” di Cosa nostra. Fabio Chiovaro, conversando con il nuovo boss, gli chiedeva apertamente, in caso di suo arresto, un “contributo” mensile non inferiore a 500 euro. E a Lo Nigro spesso arrivavano le proteste delle donne del clan per i “tagli” agli stipendi di affiliati e “manovali”.

Parallela all’attività estortiva, quella dello spaccio di droga, in primo luogo cocaina e sempre con l’obbiettivo di finanziare l’organizzazione. Qui entrano i gioco i fratelli Tommaso e Felisiano Tognetti, referenti della famiglia mafiosa di Malaspina ma i cui affari si estendono fino a Gela con uno smercio di coca venduta a 55-60 euro al grammo. Ma il prezzo, in alcuni casi, poteva anche scendere come nel caso di una grossa partita di polvere bianca che si rivela un vero e proprio “pacco”. Dalle intercettazioni gli investigatori seguono i tentativi di mischiare la cocaina con partite di qualità migliore e poi cederla a “prezzi stracciati”.

 

Le telecamere della Dia seguono Alessandro Longo mentre in un negozio di via Re Federico cede una borsa piena di droga a Giuseppe Bonura, alla presenza del “garante” Tommaso Tognetti. Tante conversazioni intercettate e dai dialoghi la continua, pressante, necessità di fare soldi su soldi: droga ancora da piazzare, clienti da trovare, ma nello stesso tempo nuove partite di stupefacenti da acquisire e di nuovo smerciare. La holding Cosa nostra non si può, non si deve fermare un attimo.

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