PALERMO, 10 MARZO 2013 – Sono tornato bambino. Avevo dieci anni quando il Palermo lasciò la serie A per l’ultima volta (stagione 72-73), retrocedendo come quest’anno con largo anticipo al termine di una stagione mediocre. Ero già tifoso e ci rimasi male. Ma a quel tempo, con società poco floride economicamente, era normale scendere dalla serie A ed era frequente risalire dalla B. Il Palermo, si diceva, era sull’ascensore.
Era successo tre anni prima (69-70) e a cavallo degli anni 60, sotto Casimiro Vizzini (dal 57 al 64), si era anche avuta qualche soddisfazione in più nel massimo campionato. Nessuno aveva avvertito me e l’altro milione di tifosi rosanero che quella volta era diverso, che ci sarebbero voluti 32 anni prima di tornare in serie A.
Dentro quei trent’anni la mia vita si è tinta sempre più di rosanero: prima le emozioni da adolescente con le due finali di coppa Italia “rubate”; poi la passione che si trasforma in mestiere, quello di raccontare in tv e in radio le imprese del Palermo tra serie B e serie C, un’avventura impagabile, ricca di soddisfazioni e gratificazioni professionali in un’epoca in cui non esistevano le pay tv (e nemmeno i telefonini) e per vedere le immagini del tuo Palermo aspettavi fino a sera tarda.
Ormai da “semplice” opinionista, ho vissuto una giornata triste. Non è stato bello tornare bambino per rivivere un incubo. Ma a scanso di equivoci diciamo subito che è giusto così. Mai vista una squadra più slegata, impotente, apatica, sghemba, molle e senza carattere. Non poteva che essere il Palermo il primo a sprofondare. Ecco perchè non ha senso aggrapparsi ancora alla matematica.
Non si era quasi mai vista nemmeno una retrocessione così annunciata, figlia di errori societari, di presunzione, di ripicche, di superficialità. Quando già a settembre suonavano i campanelli d’allarme nessuno tra gli addetti ai lavori ha recepito il segnale. Maurizio Zamparini, principale responsabile del disastro (come era stato il principale protagonista di un sogno durato dieci anni) continuava a ingannare se stesso e i tifosi con la tiritera che la squadra era forte e con un pizzico di fortuna avrebbe potuto raggiungere la zona Uefa. Bastava un pareggio in trasferta per rilanciare la vecchia litania.
Poi si è spenta definitivamente la luce. Girandola di allenatori (Sannino, Gasperini, Malesani, Gasperini), uno peggio dell’altro a cominciare dall’assoluta mancanza di personalità; campagna acquisti di gennaio grottesca, gestione poco lucida delle scarse risorse a disposizione (vedi Miccoli, naufragato anche lui); perfino un presunto rimpasto societario con l’arrivo e il precoce addio di Pietro Lo Monaco. E infine, la solita favola dell’arrivo degli arabi pronti a investire una fortuna. Una fiera degli errori e degli orrori.
Errori e orrori cominciati all’indomani della finale di coppa Italia con l’Inter, quando 40.000 rosanero entusiasti e commoventi invasero Roma (c’ero anch’io esclusivamente come tifoso, una delle emozioni più intense della mia vita): era quello il tesoro su cui costruire altri dieci anni floridi. E’ successo il contrario: tutto a puttane, dall’allenatore ai giocatori più talentuosi.
Nemmeno una salvezza risicata aveva convinto Zamparini della necessità di correre ai ripari: e così via Viviano, Balzaretti, Silvestre e Migliaccio e dentro Ujkani, Von Bergen, Morganella e Rios. Come poteva finire?
Ho paura che anche stavolta la risalita del Palermo possa non essere così veloce come spera qualcuno. In una città abbandonata, sempre più triste e sempre più avvolta da problemi di sopravvivenza ben più gravi del calcio, questa retrocessione sembra essere specchio fedele della società civile che rappresenta. E’ un lusso la serie A in una città che non ha lavoro, non ha prospettive, non riesce a far funzionare i più elementari servizi pubblici, che non riesce nemmeno a sperare.
Perchè non dovrebbe essere così anche nel calcio? Il pessimismo misto a indolente indifferenza, tipico dei palermitani abituati a vedere sfiorire i mille tesori di questa città senza riuscire a reagire con la dovuta veemenza, lasciano presagire foschi scenari.