PALERMO, 7 MARZO 2013 – Non è solo un processo, quello sulla trattativa Stato-mafia, ma anche una delle chiavi per interpretare almeno vent’anni di storia repubblicana, di lotta a cosa nostra e di misteri e depistaggi anche più lontani nel tempo che non sembrano avere trovato una conclusione.
Non è un caso che l’ultimo mistero sia un dossier di dodici pagine recapitato nel settembre scorso proprio al pm Nino Di Matteo e l’ultima polemica sia stata fra l’ex pm Antonio Ingroia – che fino ad ottobre coordinava il pool di Di Matteo, Del Bene, Sava e Tartaglia – ed il presidente della Commissione Nazionale Antimafia, Beppe Pisanu dopo la sua relazione finale sulle stragi del ’92 e ’93.
Le prime indagini sono del 2008, nate dalle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, per un’inchiesta lunga, difficoltosa e con episodi inaspettati, comprese le quattro telefonate fra Mancino e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Conversazioni da distruggere, come ha deciso la Consulta dopo il conflitto di attribuzione fra Quirinale e Procura.
Secondo l’accusa tutti gli imputanti “hanno agito per turbare la regolare attività dei corpi politici dello Stato Italiano e in particolare del governo della Repubblica”.