PALERMO, 7 MARZO 2013 – “La decisione del gup è una tappa importante, è uno stimolo per andare avanti nelle ulteriori indagini, per accertare cosa sia avvenuto in un periodo fondamentale della storia della nostra Repubblica”. Parole di soddisfazione da parte del pm Nino Di Matteo dopo i 10 rinvii a giudizio per il processo sulla trattativa Stato-mafia.
Nessun commento sulle critiche neanche tanto velate del gup Pergiorgio Morosini che parla di “Fonti di prova indicate genericamente nella richiesta di rinvio a giudizio” e di una memoria che sfiora soltanto “le finalità e gli approdi dell’inchiesta”. Lacune che costringono Morosini a rimediare nel decreto con cui dispone il rinvio a giudizio indicando in modo più specifico le prove che sostengono le accuse agli imputati.
Le prime reazioni al rinvio a giudizio, dunque, sono tutte interne a Palazzo di Giustizia, compresa la curiosità, non nuova, del caloroso abbraccio, oggi, in aula tra Massimo Ciancimino e Salvatore Borsellino, fratello del giudice assassinato in via D’Amelio nel 1992, parte civile in rappresentanza dell’associazione Agende Rosse.
Poi arriva il commento di un altro protagonista, l’ex pm Antonio Ingroia: “La decisione di rinvio a giudizio che conferma in pieno la ricostruzione della Procura, attesta la bontà di un’indagine fondamentale per il Paese, portata avanti con convinzione nonostante gli insulti e le accuse infamanti che io e i colleghi del pool abbiamo dovuto subire”. Scrive l’ex procuratore aggiunto che ha coordinato l’inchiesta. “La decisione del giudice terzo, tra i più autorevoli e competenti, ristabilisce la realtà’ delle cose e direi che di fronte all’enormità della prova che lo Stato italiano ha trattato con la mafia mentre c’erano ancora per le strade i detriti delle stragi”. “Un Parlamento responsabile – conclude – risponderebbe istituendo immediatamente una Commissione d’inchiesta sulla trattativa. Speriamo che finalmente i tanti che hanno pontificato contro questa indagine abbiano il buon gusto di tacere o quantomeno di chiedere scusa”.
Commenti anche da Sonia Alfano, presidente della Commissione Antimafia Europea e dell’Associazione Nazionale Familiari vittime di mafia: “Quello che stiamo vivendo è certamente un momento epocale per la storia e la vita democratica del nostro Paese. Si apre la strada verso la verità degli ultimi vent’anni della nostra storia”.
E dall’ Associazione tra i familiari della strage di via dei Georgofili: “Per gli ovvi motivi, non sarà facile per noi essere a Palermo la mattina del 27 Maggio 2013, data del ventesimo anniversario della strage di via dei Georgofili, ma ci saremmo e presenteremo la nostra costituzione di parte civile nel processo per la trattativa Stato-mafia. Vogliamo fortemente capire, una volta per tutte, perché i nostri figli hanno dovuto morire quella terribile notte del 27 maggio 1993 in via dei Georgofili, la così detta strage del 41 bis, per mano di ‘Cosa nostra’. Non abbiamo ancora potuto avere un processo per i ‘concorrenti esterni a Cosa nostra’ nella strage di Firenze di via dei Georgofili, ma forse a Palermo almeno i nomi di chi e di quanti hanno solo pensato di trattare con la mafia sia pure ‘in un primo momento per fermare le stragi’, causando la morte dei nostri figli, sarà chiarito nel bene e nel male una volta per tutte”.
Si difende l’ex ministro Nicola Mancino spiegando la sua richiesta, accolta, di rito abbreviato: “Io ho chiesto un giudizio separato perchè non ritengo di dover stare con quelli che ho sempre combattuto, che hanno ucciso ragazzi con l’acido, che hanno messo bombe. Io non ho fatto alcuna trattativa”. Ha detto nel corso di una conferenza stampa a Roma.
“Io non ho mai saputo nulla, nessuno mi ha mai detto nulla – ha aggiunto – anche il prefetto De Gennaro nei suoi interrogatori ha escluso di conoscere alcuna trattativa. A me nessuno ne ha parlato, se me ne avessero parlato lo avrei denunciato pubblicamente. Sono stato assente soltanto due volte nel corso delle udienze preliminari, ho intenzione di seguire questo processo perchè devo difendere il mio onore, la mia onestà. Io non sono mai stato costretto ad arrossire davanti a comportamenti non coerenti”.
Poi Mancino attacca apertamente Antonio Ingroia: “Si tratta di un teorema costruito, checchè ne pensi qualche ex magistrato, che non sarà più procuratore a Palermo per costruire le sue fortune politiche”.