PALERMO, 2 MARZO 2013 – Mia nipote l’altra sera doveva imparare una poesia in inglese a memoria. “Che bello – ho pensato, sedendomi accanto a lei per aiutarla – già alle elementari le insegnano per bene la lingua inglese”. Ma quando ho letto il testo, qualcosa mi ha lasciata perplessa. E poi ho capito cosa: si trattava della traduzione di “San Martino” di Giosuè Carducci. E allora mi sono chiesta: “Perché non leggere un autore madrelingua? Ma come lo insegnano questo inglese?”.
Una domanda che evidentemente non mi sono posta solo io. La polemica sui metodi di insegnamento dell’inglese nelle scuole elementari e sulla conoscenza che i maestri devono avere della lingua straniera è stata sollevata ieri da alcuni partecipanti al cosiddetto “concorsone” per l’assegnazione di 202 cattedre in Sicilia.
Il livello di conoscenza della lingua inglese richiesto era il B2, ovvero un upper intermediate: non proprio un madrelingua, ma nemmeno un principiante. Insomma, quel tanto che basta per insegnare ai bambini delle elementari i fondamenti: apple, house, how are you?, what’s your name?.
“Una polemica che a mio parere non ha senso di esistere – dice Bianca Guzzetta, 35 anni, maestra elementare presso l’Istituto comprensivo “Benedetto D’Acquisto-Turrisi Colonna” di Palermo – . Gli insegnanti devono avere maggiori competenze nella lingua straniera, così che si possa insegnarla di più e meglio. È giusto che ci sia un criterio di selezione all’ingresso, così come dovrebbero essere obbligatori i corsi di aggiornamento per gli insegnanti. I bambini, per di più, sono sempre felici quando è il momento dell’ora di inglese”.
Il problema è proprio questo: nella programmazione scolastica italiana soltanto poche, a volte pochissime, ore sono dedicate all’inglese. A prescindere, quindi, dalla preparazione degli insegnanti.
“C’è gente che ha fatto questo concorso dopo tanti anni di precariato. Gente – dice Isabella Pendola, 38 anni, maestra presso la scuola “Gabelli” di via Eugenio l’Emiro – che ha passato i 40 anni e che si è formata quando la conoscenza dell’inglese non era nemmeno richiesta. Ma neppure persone più giovani, uscite appena qualche anno fa dall’università, dal corso di laurea in Scienze della Formazione primaria, sono state preparate per l’insegnamento dell’inglese. Aggiungere adesso un requisito come questo, dunque, è, secondo me, soltanto un modo per rendere più iniqua la selezione”.
Un’insegnante di “un’altra generazione”, intervistata sulle sue competenze in inglese, ha candidamente ammesso “di non conoscerlo, se non sommariamente”, ma ha anche aggiunto che non per questo si sente “un’insegnate peggiore o manchevole nei confronti dei suoi alunni”.
D’altronde, viene da chiedersi: sarà colpa degli insegnanti già di ruolo e di quelli da selezionare o dello Stato che non riesce a mantenere programmi scolastici identici per più di una legislatura?