PALERMO, 22 FEBBRAIO 2013 – “L’Amia è un’azienda distrutta”. L’accusa ai commissari arriva da Cesare Lapiana, vicesindaco di Palermo e assessore per le aziende partecipate, il giorno dopo le dimissioni dei tre commissari che guidavano l’Amia.
“Le vasche di stoccaggio del percolato a Bellolampo – spiega Lapiana – sono stracolme e dovremo occuparci al più presto del trasferimento di questi reflui in altri siti, con costi che non sono nemmeno sicuro che potremo sostenere. Potrebbe addirittura fallire il Comune. E non è una battuta”.
Inoltre, se il primo marzo il tribunale dovesse salvare l’Amia e omologare il concordato proposto dal sindaco Orlando, il Comune dovrebbe mettere sul piatto nove milioni di euro, che serviranno, oltre che per la realizzazione di servizi aggiuntivi, anche per l’adeguamento del contratto di servizio, che è ancora fermo agli standard del 1998. “Siamo fermi ai tempi della lira – commenta Dionisio Giordano, segretario regionale Fit Cisl. – Dopo le dimissioni dei commissari, siamo sicuri che il sindaco starà già scrivendo al Ministero dello Sviluppo economico e al Tribunale affinché si risolva al più presto la questione del controllo dell’azienda. Ci sono 2.420 famiglie che non ce la fanno più e non vogliono più restare schiacciate tra le beghe dei politici”.
“Una gestione certamente fallimentare – dice Luisa Milazzo, della Fiadel – Federazione autonoma Enti locali – quella dei tre commissari. Hanno gestito l’azienda per quasi tre anni e noi lavoratori siamo ancora nello stesso vicolo cieco. Se il Tribunale dovesse decidere per il fallimento dell’azienda, non abbiamo veramente idea di quale sarà il futuro dei nostri posti di lavoro”.
Nonostante i tre commissari, Sebastiano Sorbello, Paolo Lupi e Francesco Foti, abbiano rimesso il loro mandato nelle mani del ministro Corrado Passera, che tra l’altro a breve non sarà più a capo del dicastero per lo Sviluppo economico, resteranno comunque in carica fino al primo marzo, data in cui è prevista anche la sentenza del Tribunale sul concordato del sindaco Orlando. “Se il giudice non deciderà per il fallimento – conclude Lapiana – ce la metteremo tutta per salvare l’azienda e i suoi lavoratori. Ma sarà un impegno gravosissimo, perché ci ritroveremo a dover gestire un’azienda a pezzi, che produce perdite per circa due milioni al mese”.