PALERMO, 16 FEBBRAIO 2013- Un punto che non determina la svolta, un altro carico di rimpianti che sporca il viaggio a Verona. La grande giocata di Formica è stata ancora una volta vanificata da un episodio ma anche da un atteggiamento poco costruttivo.
Il Palermo continua a sprecare e ad imprecare. Malesani resta imbattuto ma non ha tanti motivi per essere soddisfatto. Il suo Palermo subisce meno ma non trova quella vittoria che manca dal derby di novembre. Una vittoria lontana da 17 turni e che vanifica ogni sforzo sinora prodotto. E l’unico a sorridere alla fine è Corini che continua la sua marcia verso la salvezza, traguardo per nulla scontato per ciò che si è visto contro i rosa.
Malesani deve rinunciare a Miccoli e Ilicic, entrambi in panchina ma solo per eventuali emergenze. Dentro Formica e Boselli, sostituti naturali, che consentono di non snaturare lo schema studiato in settimana. E i piani di Malesani sono stati facilitati dalla prodezza di Formica che alla prima vera giocata offensiva fa centro.
Il vantaggio immediato consente al Palermo di allentare la tensione e prendere coraggio, in questo agevolato dalla più piacevole delle novità, caratteriale più che tattica. Una squadra coesa, tutti pronti al soccorso reciproco, tutti disposti al sacrificio a cominciare dagli attaccanti che non hanno lasciato un metro di spazio a chiunque volesse avviare la ripartenza del Chievo.
E’ stato così meno complicato per il trio Barreto – Rios – Kurtic tamponare il compassato reparto di centrocampo avversario, agonisticamente valido ma privo di fantasia. Sia Guana che Kofie hanno regolarmente provato ad attivare Thereau, l’unico in grado di provare la giocata. Ma il ritmo eccessivamente lento – forse soprattutto per merito del Palermo – ha impedito giocate agevoli e verticalizzazioni verso Paloschi. Al Chievo sono rimasti i calci piazzati – a dire il vero troppi, se vogliamo trovare il difetto dei rosa – ma almeno stavolta per 45′ non si è pagato pegno.
Di contro il Palermo ha forse ecceduto in prudenza perché sul piano del palleggio ancora una volta non è andata male. E con un po’ più di intraprendenza si sarebbe potuto cercare il secondo gol che avrebbe forse messo il sigillo su questa partita. Probabilmente la situazione di classifica ha inciso sull’audacia di una squadra che comunque ha evidenziato quella solidità complessiva che troppe volte, in trasferta come in casa, è venuta meno.
Costretto al rischio, invece, Corini che nel secondo tempo ha rinunciato ad Hetemaj per far posto a Pellissier. Non un tridente classico, ma due punte supportate da Thereau passato a compiti di rifinitura.
Una scelta che ha fatto guadagnare intraprendenza ai veronesi e qualche metro di campo in più, forse anche per un atteggiamento eccessivamente rinunciatario del Palermo, incapace per larghi tratti di tenere palla con la sicurezza del primo tempo.
Segnali importanti da Fabbrini e Formica – più il primo del secondo – per la facilità di corsa e la disciplina tattica. Ma ancora una volta gli episodi non sono di certo favorevoli al Palermo e ancora una volta il protagonista negativo è Garcia. Un apparentemente innocuo cross dalla sinistra impattato da Frey trova la fortuita deviazione dell’argentino: secondo l’arbitro, braccio staccato dal corpo e conseguente rigore trasformato da Thereau.
Un premio eccessivo per il Chievo ma una punizione non del tutto immeritata per il Palermo che sembra aver smarrito nell’intervallo ogni virtù caratteriale. E oltre le paure, legate a doppio filo alle vicende di questa stagione, subentra anche la fatica di un calcio troppo dispendioso per non determinare una flessione nella parte finale della partita. Antichi spettri che si ripresentano, rimpianti che appesantiscono il morale. Insomma, un finale come tanti altri quest’anno: cuore in gola a sperare che la sorte non si accanisca ancora. Poche le iniziative e questo è un peccato mortale perché l’apparato difensivo di Corini è parso tutt’altro che insuperabile. Certo, guardare la classifica e notare la differenza di punti tra le due squadre fa crescere rabbia e rimpianti. Ma se qualcosa più del risultato dire la sfida di Verona è che senza coraggio e voglia di rischiare si prolunga soltanto l’agonia.