PALERMO, 13 FEBBRAIO 2013 – Lo dipingono come una sorta di re Mida della cucina italiana: dovunque sia andato, appena messo mano ai fornelli, sono piovute stelle. Michelin, s’intende, certificato di qualità e di raffinatezza culinaria, un sigillo che dall’oggi al domani può cambiare il destino di un ristorante.
Carlo Cracco è l’Armani della cucina internazionale, la sua è una presenza ormai stabile nell’elite mondiale. E come Armani accoppia all’indiscusso mestiere anche quell’alone di charme che a certi livelli non guasta mai.
Quarantotto anni, vicentino di nascita ma milanese per mestiere, ha ricevuto un imprinting che ne ha connotato la carriera. Era il 1986 quando Gualtiero Marchesi, il primo vero guru della ristorazione italiana, lo ha accolto nella sua straordinaria bottega milanese. È stata la prima tappa di una carriera che si è sviluppata successivamente in Francia, passaggio obbligato per chi vuole scoprire dettagli e segreti dell’alta cucina. Poi il ritorno in Italia all’Enoteca Pinchiorri e le prime stelle, addirittura tre, un nuovo passaggio con Marchesi a Brescia, l’apertura di un suo “covo” a Piobesi d’Alba (nei pressi di Cuneo) con relativa stella Michelin. E, infine, il locale a Milano che porta il suo nome (due stelle Michelin) e che dal 2007 è tra i migliori 50 ristoranti del mondo.
Oggi Cracco è una vera e propria popstar, il successo di Masterchef poggia principalmente sulle sue spalle e sugli errori sintattici di Bastianich. Ma i concorrenti di questo format televisivo che ha sbancato gli ascolti in tutto il mondo, temono Bastianich, giudice severo e colorito, ma cercano il consenso di Cracco, autorità riconosciuta e leader della giuria.
“E’ un gioco – spiega Cracco – che rivela la grande passione degli italiani per la cucina”.
Non è che la tv finisce col banalizzare gli aspetti professionali che ci stanno dietro il mondo della cucina?
“La tv che banalizza è quella fatta male. Se ci pensiamo ogni cosa fatta male diventa banale. Non, non vedo alcun rischio, anche perché è chiaro che i concorrenti sono dilettanti, magari anche molto bravi, ma sempre dilettanti che vogliono mettersi in gioco e migliorare. E hanno l’opportunità unica di vedere il mondo della cucina dal punto di vista professionale. Ritengo un bel passo avanti che il mondo dei talent abbia scoperto pure la cucina, un universo che è presente in ognuna delle nostre case”.
Spesso si dice che a casa cucinano le donne ma i grandi chef sono uomini…
“In Italia, da qualche tempo, le cose sono cambiate. Lo chef è un mestiere adesso declinato anche al femminile, più che in Francia o in Inghilterra”.
Si è mai confrontato con la cucina siciliana?
“Impossibile non farlo per la ricchezza che esprime e per la sua straordinaria originalità. La cucina siciliana potrebbe rappresentare un patrimonio a sé. E per fortuna sta dentro quella grande tradizione culinaria italiana, qualcosa che ci invidia tutto il mondo. Sì, mi piace la cucina siciliana e il modo che i siciliani hanno di intendere la cucina e ho incontrato ottimi chef come Ciccio Sultano, Pino Cuttaia e Nino Graziano. La cucina è un settore vitale della nostra economia, assieme al tessile e alla moda rappresenta forse al meglio il made in Italy. Ma è soprattutto la sintesi della cultura orale delle nostre regioni, questo sì un patrimonio da tutelare e non disperdere”.
Torniamo a Masterchef: c’è stato qualche concorrente che l’ha colpita particolarmente? Un piatto sul quale avrebbe voluto mettere la firma?
“Il livello dei partecipanti è buono, ma metterci la firma… Tuttavia un piatto che mi ha colpito c’è, davvero ben fatto da tutti i punti di vista. Ma non posso dire quale perché chi l’ha cucinato è ancora in gara”.
Mi indica i 5 piatti che meglio rappresentano la cucina italiana?
“Credo che ciascun italiano abbia il suo menù che potrebbe rappresentare l’Italia, proprio perché, come dicevo prima, il contributo che arriva da ogni regione è di primo livello. Diciamo che faccio un omaggio alla Sicilia:
1) spaghetti alla norma, scelta che, nella sua essenzialità, esalta la qualità della materia prima
2) carpaccio, sia di carne che di pesce, piatto troppo spesso dimenticato. Come tutte le cose semplici è davvero difficile prepararne uno a regola d’arte
3) cassata, ovvero il tripudio di colori e sapori
E non potrei mai dimenticare gli arancini…”
Anche lei usa chiamarli al maschile?
“So che a Palermo e in buona parte della Sicilia sono fimmine. Mettiamola così: il mio è un omaggio al commissario Montalbano e al suo geniale papà Andrea Camilleri. È stato lui a sdoganare il termine arancini e vi sarà difficile ormai tornare indietro”.