PALERMO, 10 FEBBRAIO 2013 – Missione fallita, ancora una volta. L’unica variante è che stavolta non c’è sconfitta e niente gol nel finale. Ma l’amarezza per l’ennesima occasione sprecata è forse più pesante della stessa sconfitta. In sette giorni il Palermo vede affievolite le speranze di salvezza, due scontri diretti in casa e un solo punto che inchioda adesso i rosa alla responsabilità di dovere cercare imprese fuori casa.
Malesani sceglie, come previsto, un centrocampo robusto con Rios e Barreto ai fianchi di Donati, restituito a compiti di regia. Leggera, invece, la prima linea che conta sulla fantasia di Fabbrini capace di svariare da destra a sinistra alle spalle di Dybala. L’ex udinese appare sin dai primi minuti l’unico in grado di insidiare la nutrita barriera difensiva predisposta da Bergodi. Ogni iniziativa di Fabbrini è però vanificata dalla scarsa propensione dei centrocampisti di inserirsi nei varchi centrali che Dybala riusciva ad aprire con il suo movimento in profondità. I ritmi lenti hanno, fra l’altro, consentito al Pescara di soffrire poco la superiorità tecnica dei rosa sulle fasce dove Dossena e Nelson, per quanto costanti negli inserimenti, trovavano però il raddoppio sistematico.
E con il passare dei minuti gli abruzzesi riuscivano anzi a trovare buone trame offensive ispirate da Celik e D’Agostino e supportate da Caraglio, bravo a proporsi quanto a tenere alta la linea d’attacco.
Con questo tema tattico solo la casualità o i calci da fermo potevano consentire di sbloccare il risultato. E, infatti, le uniche insidie a Perin le ha procurate Munoz con due colpi di testa poco lontani dalla porta.
Più vivace il secondo tempo, anche perché minore il pressing e più larghi gli spazi. Malesani comprende che l’assenza di una punta di peso rende la manovra monocorde e inserisce Boselli al posto di Dybala. E dopo 30 secondi per poco non raccoglie i frutti della sua scelta. Boselli sfiora il palo con una perentoria girata di testa prima di determinare la più clamorosa palla gol sprecata da Dossena. Il monologo rosa è spezzato dal Pescara con una ficcante azione in verticale: tocca a Caprari sciupare tirando addosso a Sorrentino, straordinario a chiudere l’angolo di tiro.
Poi il Pescara opta per una condotta più prudente, togliendo lo steso Caprari e lasciando Caraglio isolato in avanti. Otto uomini dietro la linea della palla: questo il diktat di Bergodi. E con spazi sempre più intasati il Palermo ha visto aumentare la sua sofferenza offensiva, anche perché Fabbrini, con il passare dei minuti, ha visto esaurirsi le riserve d’energie.
Al 27′ la svolta: il calcio piazzato di D’Agostino pesca al centro dell’area Bjarnason, capace di deviare di testa dove Sorrentino non può arrivare e senza neanche saltare.
I venti minuti residui (comprensivi di recupero) sono stati lo specchio di questa stagione: corsa senza costrutto, molto impegno, zero idee. Sembra un paradosso ma il Palermo di dicembre aveva una sua fisionomia, questo rinnovato negli uomini non gode di quel surplus di qualità che giustifica l’azzardo di un impiego massiccio di forze nuove.
Arriva comunque il pari: cross di Barreto, deviazione di Munoz e tocco vincente di Fabbrini che mette a terra Perin. Meno di 10 minuti per tentare di riprendersi le speranze di salvezza, tanta foga, tanta rabbia agonistica, tutti a cercare la mischia vincente. Con Formica e Kurtic aumentano le potenzialità offensive ma non cambiano risultato e giudizio sul futuro: bisogna avere tanta fede per credere nella salvezza perché la logica non lascia speranza.