Crocetta, la parola mafia nello Statuto e la lezione di Addiopizzo

di Redazione

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Crocetta, la parola mafia nello Statuto e la lezione di Addiopizzo

| domenica 10 Febbraio 2013 - 07:21

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PALERMO, 10 FEBBRAIO 2013 – Bisogna avere molta cura ad utilizzare la parola mafia perché farne un uso improprio o spropositato ci espone al peggiore dei rischi: la banalizzazione. Oggi che milioni di italiani – secondo recenti stime almeno 2 su 5 – sono collegati ogni giorno su internet (e buona parte di essi sono di giovane età) e che l’informazione ha troppi accessi incontrollabili ci vuole il massimo rigore affinché non finisca nel vortice delle parole la più importante di esse, non solo per noi siciliani.

C’è uno strumento sofisticato ed utilissimo nel campo del marketing che si chiama Google Trend e riesce a misurare l’impatto nella società di qualsiasi parola comparata ad altra di significato simile. Volete sapere se attira di più Nike o Adidas? Chiedetelo al Trend e vi risponderà localizzando persino il raggio d’azione. Vi dirà, in pratica, cosa è più universale ma vi svelerà anche i desideri delle micro realtà.

Cosa c’entra con i discorsi sulla mafia? Presto detto. Aprite Google Trend e inserite la parola mafia, per esempio, in competizione con camorra. A Palermo stravince la mafia, ma anche a Milano. E udite udite persino a Napoli. Morale: la percezione che si ha della parola mafia racchiude nel suo eclatante risultato la sua pericolosità sociale. E non solo a Palermo.

Quando si scrive e si parla di mafia, di comportamenti mafiosi, di cultura mafiosa bisognerebbe sempre ricordarsene, a prescindere da Google Trend. Ma se la tecnologia aiuta a rendere più esplicito il concetto, ancora meglio.

In questi giorni il nostro presidente della Regione ha fatto un passo ufficiale eclatante dichiarando di volere inserire il rifiuto della mafia nello Statuto Siciliano. E Crocetta è uno che la mafia, quella vera, l’ha vista perché l’aveva sotto casa, l’ha combattuta da sindaco e per le sue battaglie ha sacrificato parte della sua vita. Ha convissuto con la paura e ha vinto la paura visto che non è arretrato di un metro. Anzi anno dopo anno, da sindaco come da deputato europeo, ha spostato l’asticella sempre più in alto sino a chiedere ai siciliani un atto ufficiale attraverso il quale si ripudia la mafia, per Statuto.

Un gesto simbolico forte che, in termini di comunicazione, avrebbe fatto il giro del mondo. Ma non è andata così, la notizia ha superato a stento lo Stretto di Messina. Forse perché siamo in campagna elettorale e la parola mafia, urlata con lo stesso stile del licenziamento di un direttore regionale, ha perso forza, forse declassata alla stregua di una qualsiasi iperbole buona per catturare attenzione e consenso.

Pericolo che hanno avvertito anche dalla sponda di Addiopizzo. Sentite che parole hanno detto a Si24: “Ci auguriamo che tale iniziativa (ripudiare la mafia, ndr) sia fatta concretamente propria, e non solo a parole, da tutta la classe politica regionale e nazionale dato che per le modifiche dello Statuto Siciliano occorre anche un intervento del Parlamento”. Parole inviate per iscritto, per evitare equivoci. Come dire: i comportamenti sono alla base di tutto, altro che parole. Un’altra lezione che ci arriva da chi ha molto fatto e parlato dopo. E come noi avrebbe preferito l’azione prima della comunicazione, magari un’azione possibile e comunque lontana dalla campagna elettorale.

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