PALERMO, 30 GENNAIO 2013 – “Scherza coi fanti ma lascia stare i santi”, recita un antico detto. Ma sarebbe il caso di lasciare stare anche i morti, tirati in ballo troppo spesso a sproposito.
Alle dichiarazioni di Ingroia che si è paragonato a Falcone sono seguite le repliche di Ilda Boccassini (“Tra loro esiste una distanza misurabile in anni luce”) e della sorella del magistrato ucciso (“Non permetto a nessuno di parlare di Giovanni per autopromuoversi a livello politico”). Quindi la controffensiva dell’ex pm palermitano candidato premier che alla “rossa milanese” risponde: “Mi basta sapere cosa pensava di me Paolo Borsellino e cosa pensava di lei”.
L’ultima battuta è del fratello del magistrato ucciso in via D’Amelio: “Contino fino a 30 prima di aprire bocca e lascino il nome di mio fratello fuori da questa campagna elettorale”. Ecco, forse tutti dovrebbero contare fino a 30. Magari anche fino a 100.
“Paolo è morto. In teoria io potrei dire qualsiasi cosa senza essere smentito. Per questo non si dovrebbe parlarne. Per questo avevo raccomandato a Ingroia di non tirare fuori il nome di mio fratello in questa campagna elettorale – conclude Borsellino -. Perchè mio fratello non è mai entrato nelle campagne elettorali, non c’è mai voluto entrare e non ci vorrebbe certo entrare da morto”. Se vogliamo dirla tutta Salvatore Borsellino ha detto, parlando del fratello: “Paolo non si sarebbe mai tolto la toga”.
E allora se si cercasse il consenso senza farsi scudo dei magistrati uccisi e del loro lavoro, se le scelte personali non fossero condizionate dal cognome che si porta, se le battaglie elettorali fossero condotte facendo riferimento a temi importanti per il Paese e non su giudizi personali che hanno il sapore del pettegolezzo postumo, ecco forse così potremmo dire di avere fatto una rivoluzione civile.